Di una bellezza sofisticata e di un talento in continuo sviluppo, Anne Hathaway ha definito la propria figura in base a visibili e riconoscibili caratteristiche che ne fanno un tipo pressoché inimitabile. Può anche aver cominciato interpretando la principessina Mia nel Disney “Pretty Princess” (Garry Marshall – 2001). Ma ha concluso il 2012 con il ruolo che le è valso l’Oscar.
La ragazzina dei primi anni
Pochi altri ruoli da bambolina – tra i quali ancora Mia in “Principe azzurro cercasi” (Garry Marshall – 2004) – la congelano per qualche anno ancora nell’aspetto di giovane ragazza dal sorrisone entusiasta e dagli occhi spalancati e gioiosamente dolci.
Nel 2005 uscì “Havoc – Fuori controllo” (Barbara Kopple), per la disperazione dei produttori Disney quasi in contemporanea con il candido e luccicante “Principe azzurro cercasi”. Una delle poche se non l’unica attrattiva di “Havoc” fu proprio quella di far cozzare l’immagine dell’innocente brava ragazza con la nuova figura di Anne Hathaway, per la prima volta sporcata e resa più adulta. Lo stesso anno il suo nuovo status di donna è confermato da “I segreti di Brokeback Mountain” di Ang Lee, in cui interpreta la moglie di Jack Twist (Jake Gyllenhaal).
Di questi anni forse il ruolo che ne aiuta davvero la visibilità è quello di Andrea in “Il diavolo veste Prada” (David Frankel – 2006). Commedia resa brillante soprattutto dall’ambientazione – il mondo dell’alta moda di New York – e dagli interpreti – Meryl Streep, Emily Blunt, Stanley Tucci –, è la pellicola che consacra Anne Hathaway come attrice valida di Hollywood, dotata di una certa capacità nell’adattarsi e nel valorizzare anche una sceneggiatura non magnifica.
Questo le aprirà definitivamente un ben più ampio ventaglio di possibilità, portandola nel 2008 a recitare in “Rachel sta per sposarsi” (Jonathan Demme) e ad essere per questo candidata all’Oscar come Miglior attrice protagonista.
L’Anne Hathaway dell’Oscar
Autoironica e allegra, Anne Hathaway viene scelta per interpretare la Regina Bianca nell’“Alice in Wonderland di Tim Burton (2010), parodiando una leggiadria del tutto in contrasto con la scontrosità mascolina dell’Alice di Mia Wasikowska.
Brusca virata quello stesso anno, ed eccola di nuovo accanto a Jake Gyllenhaal in “Amore e altri rimedi”, nel quale rimodella se stessa ininterrottamente, portando avanti una trasformazione del personaggio da disincantata e cinica a innamorata e speranzosa, nel clima quasi assurdo, tra l’ironia e la drammaticità, di una storia d’amore con l’inventore (fittizio) del fenomeno Viagra.
Dopo “One Day” di Lone Scherfig (2011), la ritroviamo diretta da Christopher Nolan in “Il Cavaliere Oscuro – il Ritorno” nel ruolo di Catwoman. Era un po’ di tempo che non le si chiedeva di essere provocante e, se non cattiva, quanto meno non dolce e innamorata. Ed ecco che si mostra perfetta anche in quella parte, dando in un attimo l’impressione che il personaggio sia nato con lei e con la fluidità dei suoi movimenti sui tacchi.
Nel 2012 Tom Hooper porta al cinema il suo “Les Misérables”, musical con aspirazioni da kolossal, innanzitutto per quanto riguarda il cast. Protagonisti sono Hugh Jackman e Russell Crowe, l’uno veterano del palco di Broadway e l’altro matricola, messi al centro di una corona d’attori ricchissima che provvederà a consacrarne alcuni, tra cui Eddie Redmayne e Amanda Seyfried.
Chi buca lo schermo, comunque, è la nostra Anne Hathaway, emaciata e disperata: risulta essere una Fantine capace di coinvolgere fino alle lacrime (che “Les Misérables” faccia consumare fazzoletti su fazzoletti pare sia diventata verità fondamentale e indiscutibile), vera e profondamente convincente nonostante la sua storia sia per la maggior parte raccontata più che mostrata.
In effetti, Fantine vale un Oscar come Miglior Attrice non Protagonista. Quando poi, oltre che a vincerne uno, si arriva anche a presentarne la cerimonia, come le è capitato nel 2011 e nel 2014, si può dire che sia stata definitivamente accolta tra i grandi.
Seguono alcuni altri lavori, tra cui “Interstellar” (Christopher Nolan – 2014), in cui è Brand, teorica cresciuta al sicuro tra le certezze di un laboratorio e costretta improvvisamente a cambiare ogni prospettiva nel mondo concreto e soggetto a leggi difficili da assorbire: figura opposta alla sua controparte maschile, Cooper (Matthew McConaughey), che invece basa il proprio percorso decisionale sull’esperienza che condusse, ai suoi tempi di pilota e ingegnere, sul campo.
L’abbiamo vista ancora in un ruolo drammatico e concentrato quasi esclusivamente sull’emotività da occhioni lucidi in “Song One” (Kate Barker-Froyland – 2014); la vedremo a ottobre accanto a Robert De Niro in “Lo stagista inaspettato” (Nancy Meyers – 2015) in un film che probabilmente risulterà poco impegnato ma, speriamo, piacevole.
Un tempo si diceva che, dopo aver vinto un’Oscar, un attore o un’attrice vedesse la propria carriera appassire e morire velocemente, e questo perché a un ruolo esaltante seguono sempre ruoli dimenticabili e mai all’altezza di quello glorioso. Anne Hathaway, però, ha sempre gestito il proprio essere attrice senza subire scossoni, ma saltellando da un ruolo “leggero” a uno drammatico, da un kolossal a una commedia senza troppe pretese, concedendosi a ogni parte con la giusta dedizione. Questo le fa onore.
Chiara Orefice