Gli Alleati a Napoli
Quando l’esercito Alleato entrò a Napoli, trovò una città letteralmente distrutta da tre anni di bombardamenti anglo-americani e da ventidue giorni di sabotaggi nazisti. Ma per Napoli non era finita qui: i tedeschi si erano asserragliati dietro la Linea Gustav, uno sbarramento difensivo che tagliava in due l’Italia da ovest ad est.
Napoli, con il porto, l’aeroporto e la stazione, nonostante fossero gravemente compromessi a causa dei sopracitati bombardamenti, era la città perfetta per essere la retrovia dell’esercito che si apprestava a liberare l’Italia.
Essere una città di retrovia significa essere sia un appoggio ai combattenti, sia il primo luogo dove vengono spediti i militari in licenza.
Al nuovo Allied Military Government e ai soldati che volevano svagarsi servivano, per forza di cose, delle basi, ma quasi nulla a Napoli era stato risparmiato. Si dovette allora procedere alla requisizione forzata di palazzi storici e monumenti. Peccato che non fu riservato loro alcun riguardo.
I soldati, specialmente i britannici e i francesi, venivano da anni di conflitto che li avevano resi stanchi e violenti, non di rado erano operai o contadini strappati dal lavoro per andare in guerra. È credenza comune che il vero nemico degli Alleati siano stati i nazisti, ma gli anglo-americani caddero anche sotto i colpi dei soldati italiani.
Non dovrebbe stupire, quindi, che molti di loro si sentirono in dovere di comportarsi con Napoli e coi napoletani come più si confaceva ai loro bisogni e necessità, con la mentalità del vincitore. E il Palazzo Reale è la dimostrazione simbolica di ciò che successe.
Lo scempio del Palazzo Reale
Nel novembre 1943 fu requisito il Palazzo Reale, sito in Piazza del Plebiscito, e divenne un welfare club. Cioè un circolo ricreativo. Era aperto dalle 10,30 alle 21 e vi si poteva trovare, tra le altre cose, ristoranti, bar e sale da ballo.
Chiunque abbia mai messo piede nel Palazzo Reale deve provare a immaginare una delle sue sale trasformate in ristorante per dei soldati. Ma non è questo il peggio.
Le sue volte furono bucate per installare tubature a soffitto, danneggiando enormemente i dipinti. I suoi pavimenti di maiolica divelti per far passare i canali dei servizi igienici. Nella Sala di Maria Cristina il soffitto fu imbiancato, coprendo un affresco della seconda metà del ‘700 commissionato da Ferdinando IV.
Dopo questo episodio, il Maggiore Hinkel si interessò più da vicino della questione, scoprendo inoltre che la travi decorate erano state sostituite da travi in ferro; che alcune tappezzerie erano state strappate; che alcune porcellane era state distrutte; che su una parete del magazzino erano stati disegnati Paperino e José Carioca. Si denunciò perfino il fatto che alcuni avessero orinato negli angoli della Sala del Trono. Il tutto contornato da furti di varia natura.
Il Palazzo Reale di Napoli è, però, solo un caso esemplificativo. Nelle stesse condizioni erano i Palazzi Reali di Caserta, Portici e Capodimonte, il Maschio Angioino, Il Museo Nazionale di San Martino e il Museo Nazionale Duca di Martina.
Monuments, Fine Arts, and Archives program
Gli Stati Uniti, prevedendo il ruolo che avrebbero avuto nel dopo-guerra, nel giugno avevano fatto partire il Monuments, Fine Arts, and Archives program. Il personale era scelto tra storici dell’ arte e personale esperto dei musei americani, tra i quali direttori, con il compito di proteggere il patrimonio monumentale, artistico e archivistico nelle zone di guerra.
Il programma fu quindi attivo in Italia, Francia, Germania, Belgio, Giappone e altri (Se si vuole avere una sommaria idea di tale programma, potrebbe essere utile la visione di The Monuments Man, diretto da George Clooney). Il programma era diviso in regioni, e la Campania era inclusa, insieme alle Marche, nella Region III, presieduta dal Maggiore Joseph Paul De Grasse Gardner, direttore del Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City, Missouri.
Le operazioni della MFAA nella Region III iniziarono il 19 ottobre 1943 con scarsissimi fondi. Gardner si attivò subito per raccogliere i soldi necessari e già nel novembre riuscì ad ottenere un finanziamento di circa due milioni e mezzo di lire per i lavori di consolidamento e di ripristino delle coperture delle opere già danneggiate. Lavorò in sintonia con i soprintendenti locali e riuscì in larga parte a normalizzare la situazione.
Il suo lavoro, però, non fu sufficiente considerando che, nel gennaio del ’44, il Sovrintendente Bruno Molajoli si sentì in dovere di denunciare all’AMG la situazione di incuria nella quale versavano i resti della storia napoletana, lamentando che alle autorità competenti napoletane non era permesso fare neanche un sopralluogo.
Solo dopo che la Linea Gustav fu superata, il 19 maggio 1944, Napoli non fu considerata più così fondamentale. Le truppe alleate iniziarono lentamente a muoversi verso nord, per liberare il resto d’Italia, anche se Napoli sarebbe stata formalmente sotto il controllo dell’AMG ancora fino al ’46.
Roberto Leone
Fonte
– G. Russo, I Caduti di Pietra. Campania 1940-1943, storia di una regione in cui cadde anche la cultura, Photocity, Napoli, 2015