Durante la puntata del 23 maggio 2013 del David Letterman Show, Woody Harrelson raccontò di come ottenne la sua prima parte in una sit-com, “Cin cin”, una delle più popolari di sempre negli Stati Uniti, ideata da James Burrows, Glen e Les Charles.
Sia gli ideatori che chiunque altro avesse qualche potere sulla serie lo aspettavano dietro le porte, e, quando queste si aprirono, si ritrovarono davanti Woody Harrelson che, ignaro che tutto stesse per cominciare, si stava soffiando molto rumorosamente il naso. Partì una risata generale. E secondo l’attore la comicità della situazione fu decisiva perché lo scegliessero.
E questa, signori, è la migliore sintesi che si potrebbe fare di quello strambo attore – ben più strambo dei personaggi che ha portato sullo schermo – che porta il nome di Woodrow Tracy Harrelson.
Due ruoli che siano un esempio
Dieci anni dopo quell’avvenimento, e dopo aver collezionato non poche nomination e una vittoria per il suo ruolo in “Cin cin”, Woody Harrelson viene nominato agli Oscar come Miglior attore protagonista per “Larry Flynt – Oltre lo scandalo” (Miloš Forman – 1996). Woody era nella scomoda posizione di dover interpretare qualcuno di ancora vivente che divenne celebre per aver sfidato la pubblica decenza di allora – parliamo del fondatore di Hustler, rivista porno dissacrante – e lo Stato, auto-sabotando i propri processi e mettendosi nei guai in molti modi. Ma Woody Harrelson, senza preoccuparsi troppo della delicatezza, dona vita alla sceneggiatura con decisione, mostrandosi arrogante, a volte stupido, senza alcun senso della responsabilità e con uno sguardo di folle sfida mista al più adolescenziale dei menefreghismi verso le forme di autorità meglio variegate che si possa pensare.
È in realtà un personaggio molto coerente con il tipo di uomo che Woody mostra di essere, volto a una certa anarchia declinata in varie forme, da quella effettivamente politica a quella della sfida delle forme e delle convenzioni sociali, il tutto mitigato da una risata a testa piegata all’indietro e denti troppo distanziati in bella mostra.
E allora facciamo un salto di altri tredici anni per vederlo in “The Messenger – Oltre le regole” (Oren Moverman – 2009), completamente diverso da se stesso e tuttavia in panni che danno senso alla sua fisionomia da duro: è Tony Stone, militare che ha un duplice difficile compito. Deve cioè informare le famiglie dei soldati caduti in Iraq della morte dei loro cari; contemporaneamente deve insegnare come svolgere questo compito al più giovane soldato Will (Ben Foster).
Per quanto un reale sviluppo di trama non ci sia, la performance di Woody Harrelson vale l’intero prezzo del biglietto e anche molto di più: in poche scene dipinge ciò che il suo personaggio vuole mostrare di sé e soprattutto come c’è bisogno che si mostri per il ruolo che ha; e subito dopo schiude l’armatura da soldato e lascia intuire l’universo che c’è dietro e che è in realtà il suo essere persona, senza inutili piagnistei o vecchie storie del cuore di miele chiuso in una corazza di pietra. È con la semplicità che qui Woody Harrelson dà una prova da applauso.
Woody Harrelson in coppia
È piuttosto difficile dire se è la regia, la sceneggiatura o chissà che altro a far risplendere Woody Harrelson o se sia lui ad aggiungere valore a una pellicola. La carriera dell’attore è stranamente bipartita tra grandi film che divennero veri e propri fenomeni cinematografici, come “La sottile linea rossa” (Terrence Malick – 1998), e altre pellicole carine ma passate più o meno inosservate come “Defendor” (Peter Stebbings – 2009).
In tutti i casi, Woody Harrelson passa alle cronache come abbastanza scanzonato e negligente sul set, e maledettamente bravo comunque. Accidenti al talento che benedice alla cieca.
Forse uno dei ruoli più amati (benché compaia in pellicole molto più illustri) è quello di Haymitch Abernathy nella saga di “Hunger Games” (Francis Lawrence – 2012), in cui appare di una straordinaria profondità, persino più penetrante di quella delineata nei romanzi di Suzanne Collins. Inebetito dall’alcool e dal cedimento di quel carattere virtuoso e pieno di valori più forti della dittatura che ne avevano fatto un vincitore dei Giochi, ritrova la propria genialità strategica e persino qualche speranza a contatto con la linfa nuova e rabbiosa della giovane Katniss (Jennifer Lawrence).
Spesso affiancato da figure più giovani, come era già accaduto in “Benvenuti a Zombieland” (Ruben Fleischer – 2009) o “Now You See Me – I maghi del crimine” (Louis Leterrier – 2013), Woody Harrelson ha sempre e comunque dato il meglio di sé mostrandosi a proprio agio e in sintonia con loro. Ma con Jennifer Lawrence è tutta un’altra storia: risultano semplicemente complementari, simili sia fuori dal set (c’è una vena di follia in entrambi) sia quando sono calati nelle rispettive parti (corrosi da una rabbia lacerante dominata unicamente dalla necessità di essere lucidi e previdenti).
C’è solo un altro attore che funziona bene se non meglio al suo fianco: Matthew McConaughey.
Già nel 2008 li avevamo visti in “Surfer Dude” (S. R. Bindler), e non li si può rivedere insieme se non con grandissimo piacere in uno dei prodotti per la televisione più pregevoli degli ultimi anni, “True Detective” (ideato da Nic Pizzolatto).
Come forse ha dimostrato la seconda stagione con i suoi nuovi personaggi, a rendere la prima così apprezzabile non era solo l’idea di Pizzolatto o le scenografie e la resa visiva malinconicamente suggestiva e misteriosa: erano soprattutto quei due attori. Interpreti eccezionali, hanno dato una caratterizzazione così completa e scavata in dettagli miseri così come lucenti, sia in senso sincronico che diacronico, da aver lasciato un vuoto dietro di sé alla chiusura dell’ultima puntata.
Quindi, dopo un sospiretto, dopo averne visto l’ennesima eccellente prova in “Il fuoco della vendetta – Out of the furnane” (Scott Cooper – 2013) aspettiamo l’uscita di uno degli ultimi progetti di Woody: l’ultimo capitolo di “Hunger Games”, di prossima uscita; “By Way of Helena” (Kieran Darcy-Smith); “Triple Nine” (John Hillcoat); “Now You See Me 2” (Jon M. Chu).
Chiara Orefice