Antoon Van Dyck (1599-1641) è, insieme al suo maestro Pieter Paul Rubens, il più famoso pittore fiammingo del Seicento. La sua attività artistica fu molto intensa e si svolse principalmente tra le Fiandre, sua patria d’origine, l’Italia e l’Inghilterra. Fortunatamente sono moltissimi i documenti e le notizie per questo artista, ma la biografia, inserita da Giovan Pietro Bellori nella sua impresa letteraria, le “Vite de’ Pittori, Scultori e Architetti moderni”, resta la più importante testimonianza.
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Lo stile
La sua fama è legata soprattutto ai numerosi ritratti realizzati, ritratti così belli che gli procurarono il titolo di pittore di Sua Altezza re Carlo I d’Inghilterra. Tuttavia nel corpus dell’artista troviamo non solo ritratti, ma anche quadri di soggetti sacri, come pale d’altare o piccole opere devozionali, e soprattutto tele di tema mitologico che si rifanno alle “favole” di Tiziano. E proprio l’artista veneziano fu un punto cardine per lo sviluppo dello stile di Van Dyck, che raggiunse risultati eccezionali, anticipando in alcuni casi la pittura del Settecento.
Biografia
Le origini
Van Dyck era figlio di un ricco mercante ed è per questo motivo che già all’età di dieci anni ebbe la possibilità di entrare nella bottega di Hendrick van Balen, decano della gilda di San Luca (tra le più importanti corporazioni di artisti e artigiani attive soprattutto durante il periodo barocco nelle Fiandre e nei Paesi Bassi). Non sappiamo precisamente per quanto tempo il giovane Van Dyck rimase presso il suo primo maestro, sappiamo però con certezza che la sua prima opera risale al 1613, quattro anni dopo l’ingresso nella bottega di van Balen, e si tratta del ritratto di un uomo anziano. Dopo pochi anni la famiglia di Van Dyck cadde in rovina, ed egli cominciò a dipingere autonomamente. Alcuni documenti attestano addirittura che già nel 1615 l’artista possedeva un suo studio chiamato “La cattedrale di Colonia”: se davvero così fosse, Van Dyck era andato contro il regolamento della gilda di San Luca, secondo il quale un artista poteva mettersi in proprio solo una volta raggiunta la maggiore età e aver conseguito il titolo di “maestro”.
I rapporti con Rubens
Negli stessi anni, probabilmente nel 1617, Van Dyck cominciò a lavorare come assistente del più anziano Rubens. I tempi e le modalità del rapporto tra i due artisti non sono per nulla chiari, ma sicuramente l’anziano maestro ebbe molta influenza sul giovane Antoon, e lo si può accertare osservando opere come la “Cattura di Cristo”, acquistata successivamente da Filippo IV di Spagna e attualmente conservata al Museo del Prado.
Il periodo londinese
Negli anni in cui era ancora collaboratore di Rubens, Van Dyck parte per l’Inghilterra ed il 20 ottobre del 1621 arriva a Londra, dove esegue il ritratto di colui che lo aveva condotto in quella patria, Lord Purbeck, e di colui per il quale quest’ultimo lavorava, il duca di Buckingham, il quale all’epoca era il favorito di re Giacomo I. Non si conoscono altre opere di questo primo soggiorno londinese, che tuttavia fu fondamentale per i rapporti che l’artista riuscì a consolidare.
L’approdo in Italia
Circa un mese dopo Van Dyck arriva a Genova dove, grazie agli intensi rapporti tra le Fiandre e la città ligure, lavorò per le più importanti famiglie della città realizzando moltissimi ritratti. Ricordiamo per la particolare bellezza il “Ritratto di Alessandro Giustiniani in veste di senatore” e il “Ritratto di Elena Grimaldi Cattaneo”. Durante il soggiorno genovese si recò per brevi periodi a Roma dove nacque una delle sue opere più celebri: il “Ritratto del cardinale Guido Bentivoglio”. In quest’opera Van Dyck mostra tutta la sua devozione per Tiziano, ispirandosi in particolar modo al magnifico “Ritratto di Paolo III Farnese con i nipoti”, oggi al Museo di Capodimonte di Napoli.
Circa nel 1624 Van Dyck si recò poi a Palermo per rendere omaggio alla celebre, ormai anziana, pittrice Sofonisba Anguissola, della quale realizzò almeno due ritratti.
Il ritorno nelle fiandre
Nel 1627 Van Dyck torna ad Anversa, probabilmente perché gli giunge la notizia della morte di una delle sue sorelle. Nonostante il lutto, si apre un periodo florido per la sua carriera: arrivano commissioni importanti anche dall’arciduchessa Isabella, figlia di re Filippo II, che lo nominò pittore di corte al suo servizio. Le commissioni arrivavano anche dalla corte di Bruxelles, dove posò per lui anche la regina di Francia in esilio, Maria de’ Medici.
Gli ultimi anni
Nel 1629 una nuova occasione si presentava a Van Dyck: il diplomatico inglese Sir Endymion Porter trattò per conto del re d’Inghilterra Carlo I l’acquisto del “Rinaldo e Armida” di Van Dyck. Il sovrano si innamorò letteralmente dell’opera, tanto che lo volle a Londra. Il re voleva un pittore che celebrasse il suo potere attraverso dei meravigliosi ritratti.
Agli inizi quaranta Van Dyck si ammalò, tanto da essere costretto a rifiutare la commissione di un ritratto di un importante cardinale francese (non si sa con certezza se si trattasse di Richelieu o Mazzarino).
L’artista morì a Londra nel 1641. Carlo I volle che fosse sepolto nel coro della cattedrale di St.Paul e fece scrivere per la sua tomba un epitaffio che racchiude il senso dell’intera carriera di questo straordinario artista: “finché era in vita, aveva dato l’immortalità a molti”.
Manuela Altruda