Il cinema indirizza le masse. Roosevelt lo sapeva quando ha deciso di usare i film durante la seconda guerra mondiale come mezzo di propaganda antinazista
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Hollywood si interesserà molto al tema antinazista. Tra il 1942 e il 1945 si calcola che abbia prodotto circa cinquecento lungometraggi a tema bellico proprio con l’intento di spronare le persone a combattere.
C’è da dire che, affrontando tali tematiche, Hollywood andava contro le disposizioni che si era autoimposta qualche anno prima: nel 1934, infatti, è stato stilato un codice di autoregolamentazione in base al quale avrebbero dovuto essere girati solo film di evasione. Tuttavia, questa volta, gli ordini vengono dall’alto: Roosevelt e gli interventisti sono decisi a prendere parte al conflitto mondiale e si servono del cinema come un mezzo per convincere gli americani a combattere.
Del resto, negli anni Trenta e Quaranta, il cinema ha un grande potere sulle masse. Le indirizza, le influenza. Roosevelt dimostra che ha compreso benissimo questo potenziale, circondandosi di una valida équipe di collaboratori che hanno il compito di svolgere una funzione di mediazione tra le sue politiche e Hollywood: Elmer Davis (commentatore radiofonico messo a capo dell’Ufficio di Informazioni militari), Lowell Mellett (guida l’Ufficio delle pellicole dell’Office of War Information) Ulric Bell e Nelson Poynter.
Grazie proprio all’aiuto dell’OWI il governo comincia a plasmare i contenuti che avrebbero dovuto avere i film (leggendo le sceneggiature, imponendo determinati soggetti, apportando modifiche). Insomma, prima che si potesse iniziare qualsiasi tipo di lungometraggio, il via libera doveva essere dato dall’OWI.
Tuttavia, non era difficile trovare persone che fossero pronte a sostenere le idee di Roosevelt. Le disposizioni naziste cominciavano a creare non pochi problemi ai produttori hollywoodiani che, fino alla fine degli anni Trenta, dipendevano economicamente dal mercato mondiale.
Già con le Leggi di Norimberga i nazisti vietano film interpretati da attori ebrei e stabiliscono che non più di venti lungometraggi americani all’anno potessero essere proiettati in Gemania. Ma, addirittura, il 17 agosto del 1940, essi arrivano a vietare del tutto i film americani nel territorio posto sotto il loro controllo.
A questo punto, gli studios sono del tutto insofferenti e cominciano a prendere degli atteggiamenti interventisti.
La seconda guerra mondiale a Hollywood, tra interventisti e antinterventisti
Ovviamente, non poterono mancare le polemiche volte a questo tipo di organizzazione. Hollywood viene presto accusata di produrre film propagandistici e il governo viene incolpato di plagiare gli studios.
Fino all’attacco di Pearl Harbor, che segna l’ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, non si può parlare di film di guerra veri e propri (con uomini impegnati su campi di battaglia e in operazioni di prima linea). Fino al 1941 ci sono per lo più opere antinaziste: Confessions of a Nazy Spy (Anatole Litvak – 1939) racconta, ad esempio, di agenti del governo a caccia di nazisti.
Va però ben oltre, l’impegno profuso da Chaplin nel genere antinazista. Ne Il grande dittatore (1940) l’attore inglese sceglie come soggetto del suo capolavoro proprio Hitler.
<< Il viso era oscenamente comico; una brutta copia del mio, con i suoi assurdi baffetti, le lunghe ciocche ribelli e una boccuccia disgustosamente sottile.>>
Decide quindi di girare il film impersonando egli stesso il ruolo di oppresso e di oppressore, recitando anche la parte di un barbiere ebreo oltre che quella di Hitler.
Il soggetto è trattato con una comicità che ha comunque dei riflessi pungenti ed è in grado di infondere nello spettatore delle riflessioni drammatiche e dolorose.
Alcune scene di questo film sono di sicuro tra le più importanti della storia del cinema, come ad esempio quella in cui Hynkel balla sul preludio del Lohengrin di Wagner, facendo volteggiare un pallone che rappresenta il mondo, che finisce per scoppiargli fra le mani.
In questo film il vagabondo parla, è anche il film in cui, quindi, il vagabondo cessa di esistere. Lo fa per un motivo ben preciso e con delle parole meravigliose:
<<Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchine ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza.>>
Cira Pinto
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