Intorno alla seconda metà del XIII secolo, un anonimo francese compose quello che, con termini moderni, potremmo indicare come un romanzo d’amore tragico. Secondo la catalogazione medievale, La Chastelaine de Vergi fa parte del repertorio testuale della narratif bref (narrativa breve) cui appartengono anche altri tipi di lavori, tra i quali ricordiamo almeno i lais e i fablieux. Questi testi si distinguevano in quanto, al di là degli specifici argomenti di cui ciascuno trattava (i lais erano racconti cortesi ispirati alla materia antica o a quella di Bretagna, il massimo esponente del genere fu Maria di Francia; i fablieux erano principalmente storie comiche e quindi meno impegnate rispetto agli stessi lais o anche al roman, a sua volta una sorta di adattamento, e non una vera traduzione, della materia classica latina), erano accomunati da caratteristiche, potremmo dire tecniche, quali:
- La brevitas: la brevità, appunto, non è da intendere solo come un qualcosa che ha a che fare con la lunghezza del testo. È molto più vicina ad un fattore interiore e quindi qualitativo. In parole povere ciò significa che il tempo di lettura (per definizione breve) non equivarrà necessariamente al tempo impiegato per la comprensione del testo, per avere chiaro il significato che si cela oltre il senso letterale.
- La linearità: molto semplicemente, il racconto prosegue senza interruzioni e senza lasciare nessuna questione irrisolta.
- La delectatio: è necessario allietare il pubblico, distrarlo dalle attività quotidiane per catapultarlo nel mondo della narrazione. Per far ciò l’oratore deve essere provvisto di notevoli capacità retoriche.
- La veritas: corrisponde all’azione stessa del narrare, strettamente collegata ai primi due punti, poiché riguarda sempre il significato riscontrabile all’interno del racconto.
Tornando alla nostra castellana, vediamo che essa non coincide perfettamente con nessuno degli esempi proposti dal grande contenitore della narrativa breve in antico francese, anche se “La Castellana di Vergy” ha qualche similitudine soprattutto con i lais sia per l’argomento amoroso, sia perché ne ricorda uno in particolare: il lai du Lanval di Maria di Francia.
La Castellana di Vergy: trama
C’è un cavaliere, vassallo del Duca di Borgogna, che ha una relazione sentimentale con la nipote di quest’ultimo, la castellana di Vergy. Il loro amore, però, deve restare segreto in quanto lei è già sposata; semmai il cavaliere rivelerà il loro rapporto, perderà l’amore della donna. Ma anche la moglie del Duca s’innamora del suddetto cavaliere, e tenta così di sedurlo:
“Sire, vous estes biaus, et preus,/ ce dient tuit, la Diu merci!/ Si avriiés bien deservi/ d’avoir amie en si haut leu/ qu’en eussiés honor et preu/ que bien vous serroit tele amie”[1]
Ma il cavaliere, oltre ad avere già “un’amica”, ha grande rispetto del suo signore, e respinge le avances della duchessa.
(..) Dius me gart/ qu’a moi n’a vous tort cele part/ u la honte mon signeur gise,/ qu’en nul foer ne en nule guise/ n’enprendroie tel mesprison/ comme de faire desreison/ si vilaine et si desloial/ vers mon droit signor natural”[2]
Di fronte al suo rifiuto netto e, a quanto pare, inaspettato, la donna decide di vendicarsi. E così la stessa sera rivela al marito che proprio il cavaliere tanto rispettato dal duca ha peccato di fellonia perché “ne fina hui/ de moi proiier au lonc du jor/ que je li donasse m’amour”. La situazione si capovolge a questo punto, poiché il duca si fida alle parole della moglie e quindi alla sua versione dei fatti secondo cui ella ha subito quasi una violenza da parte del cavaliere improvvisamente divenuto villano. La duchessa insiste nel volerlo bandire, ma il duca lo chiama prima a colloquio, e gli ordina di confessare il misfatto oppure verrà mandato in esilio.
Il cavaliere cade nello sconforto poiché l’unico modo che ha per discolparsi da quest’accusa infamante è rivelare la relazione con la castellana, ma il pensiero di perderla ugualmente se subisse la condanna gli scioglie la lingua, e viene fuori così la verità. Il cavaliere rivela al suo signore la relazione con la nipote, dei loro sotterfugi per incontrarsi, del patto di segretezza che li univa e della slealtà di sua moglie. Ma il duca commette l’errore di rivelare tutto alla moglie, la quale, scoperta, rifiutata e rancorosa, fa credere alla povera castellana che il suo amante ha rotto il patto. Ed è a questo punto della trama che s’istalla la componente tragica; la castellana di Vergy per disperazione si suicida, e quando il cavaliere lo scopre non riesce a sopportare la morte dell’amata, e si toglie anch’egli la vita.
Il Duca di Borgogna, che in fondo approvava la loro unione, decide di punire la vera colpevole di tutta la vicenda, ovvero sua moglie, e le mozza la testa davanti a tutta la corte. Annuncia poi che sarebbe partito per la Terra Santa senza tornare mai più.
Il rapporto col Lanval
Abbiamo già accennato al fatto che la trama ricordi molto il lai du Lanval, risalente al secolo precedente. Anche Lanval aveva una relazione segreta, ma una caratteristica ricorrente nei lais era la componente del meraviglioso e della magia; tant’è vero che la donna amata da Lanval era una fata (ne abbiamo già parlato qui) che aveva messo in guarda il cavaliere dal rompere il patto, o lei sarebbe sparita per sempre. A differenza della castellana di Vergy, la quale aveva escogitato l’espediente di un cagnolino che mandava incontro al cavaliere nascosto in un angolo del verziere (giardino) quando era libera la sua camera, la fata di Lanval aveva il potere di materializzarsi fra le sue braccia quando egli ne avrebbe avuto voglia.
“Quant vus vodrez od mei parler,/ Ja ne savrez cel lui penser/ U nuls puist aveir s’amie / Sanz repreoce e sanz vileinie,/ Que jeo ne vus seie en present/ A fere tut vostre talent/ Nuls hum fors vus ne me verra/ Ne ma parole nen orra“[3]
Il Lanval è ispirato al ciclo arturiano, e questa volta la villian è proprio la regina Ginevra che tenta di approcciare il giovane cavaliere, ma il finale cambia; non ci sarà nessuna tragedia ultima, anzi, Lanval verrà salvato dalla fata che lo porterà infine nel suo mondo.
Un racconto “cortese”
Un intreccio simile alla vicenda del ducato di Borgogna ha precedenti in letteratura non solo grazie a Maria di Francia, giacché altri esempi ci sono offerti anche da un episodio biblico con la storia di Putifarre e dalla mitologia classica con Fedra e Ippolito. Nella tradizione medievale, però, cambia il sistema di valori che un archetipo di questo tipo vuole rappresentare. Il motivo amoroso è perfettamente ascrivibile nei dettami della fin’amor, e sappiamo che il punto di vista “cortese” concepisce l’amore tra un cavaliere e una dama in senso “sociale”, ovvero come calco del rapporto vassallatico fra il cavaliere e il suo signore.
La castellana di Vergy ha punti di contatto anche con un altro dei filoni facenti parte della narrativa breve, ovvero l’Exemplum (esempio). Sia nel prologo che nell’epilogo ritorna una verità apparentemente semplice che parrebbe quasi un monito: non confidare mai a nessuno i propri segreti d’amore perché anche un migliore amico può rivelarli!
“Une maniere de gent sont/ qui d’estre loial samblant font/ et de si bien consel celer/ qu’il se convient en eus fier/ et quant que on s’i descoevre/ tant qu’il sevent l’amor et l’oevre,/ si l’espandent par le pais,/ et en font leur gas et leur ris”[4]
“He! Dius, trestout cest encombier/ et chius meschies por çou avint/ c’au cevalier tant mesavint/ qu’il dist chou ke celer dovoit,/ et que deffendu li avoit/ s’amie, qu’il ne le deist/ tant com s’amor avoir volsist/ Et par cest essample doit l’en/ s’amour celer, par si grant sen/ c’on ait tous jors en ramembrance/ que li raconters poins n’avance/ et li celers en tous poins vaut” [5]
Roberta Fabozzi
Bibliografia:
Il racconto nel Medioevo, M. Picone, edizione Il Mulino
[1] La castellana di Vergy, a cura di Giovanna Angeli, Salerno editrice, pag. 57, vv 60- 65
[2] ivi pag. 80, vv 91- 98
[3] Lais, Maria di Francia, a cura di Giovanna Angeli, Carocci editore, pag. 179, vv 165- 170
[4] La castellana di Vergy, pag. 52, vv 1- 8
[5] ivi, pag. 123, vv 934- 945