Un’opera filosofica, letteraria o cinematografica ben fatta rappresenta un microcosmo, contiene in sé (almeno) una visione del mondo e offre tale sguardo a chi saprà ascoltare il suo messaggio. Alcune opere, poi, non si accontentano di mostrarci il loro modo di vedere le cose: hanno la pretesa di cambiare il nostro, insinuando il Dubbio nella nostra mente.
Abbiamo già parlato del sostrato filosofico di Watchmen, gioiello della letteratura fumettistica anni ’80: continuiamo allora ad addentrarci nell’ottica nietzschiana dei suoi protagonisti e delle loro visioni del mondo.
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Ozymandias e il Comico: due modi di approcciarsi alla realtà
Nel pensiero di Nietzsche, spirito Apollineo e Dionisiaco sono impulsi artistici della natura; l’impatto estetico delle due figure, però, è stato talmente forte da generare tantissime interpretazioni e modificazioni artistiche nel corso di tutto il Novecento. Una di queste è, appunto, la traslazione dei concetti da categorie estetiche ad atteggiamenti esistenziali dell’uomo rispetto alla realtà che lo circonda.
Possiamo riconoscere questi due atteggiamenti, contrastanti ma complementari, nei due personaggi di Watchmen Ozymandias (di cui si è già ampiamente discusso) e il Comico. Il primo, freddo pianificatore, afferma la sua ragione assolutizzante pretendendo di essere il salvatore dell’umanità; in altre parole, egli tenta di dare un ultimo, disperato ordine al caos che regna sovrano nel mondo degli uomini. Il secondo, al contrario, è un nichilista nel senso più nietzschiano che ci sia:
Aveva visto le falle nella società, aveva visto quegli omini in maschera che cercavano di tenerla insieme… aveva visto il vero volto del ventesimo secolo e aveva scelto di diventarne un riflesso, una parodia.
Egli, come il Superuomo nietzschiano, coglie l’aspetto dionisiaco dell’esistenza, ne accetta il divenire, le lotte e le contraddizioni e dice «sì» al caos della vita.
Neppure Eddie Blake, però, è un vero Superuomo, né tantomeno può essere definito un supereroe a causa del suo cinismo e della sua indifferenza nei confronti della vita umana. In poche parole il Comico rappresenta non il superamento, ma il culmine del nichilismo. Per la sua amoralità e potenzialità distruttiva,
Il Comico fa la parte del leone, figura che nello Zarathustra simboleggia quel nichilismo attivo che è a un passo dal superare se stesso. Il passo verso il Superuomo, però, Blake non lo farà mai: l’insensatezza del mondo può essere accettata con una risata amara, macchiata di sangue, ma non può essere superata.
Ma là dove il deserto è più solitario avviene al seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto. […] Creare nuovi valori – di ciò che il leone non andrà capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone. [1]
Il mondo per il Dottor Manhattan: un orologio senza orologiaio
Il Dottor Manhattan: l’unico vero Supereroe di Watchmen? Niente affatto.
A causa di un esperimento andato male, egli ha controllo totale sulla materia, può teletrasportarsi, può duplicare se stesso ed essere in più posti contemporaneamente, è immortale ed è in grado di conoscere il proprio passato e il proprio futuro, cioè di vedere simultaneamente ciò che è, che è stato e che sarà.
La potenza del Dr. Manhattan lo rende simile a Dio (non mancano riferimenti in tal senso, come una scena in cui cammina sull’acqua o la sua volontà di creare la vita su un pianeta diverso dalla terra), anzi egli è molto più simile ad un dio che non ad un uomo. “Il grande paradosso è che il suo grande potere limita il proprio campo di azione: siccome egli percepisce ogni cosa simultaneamente nel passato, presente e futuro egli diventa impassibile ai bisogno dell’umanità che lo circonda.” [2] Questa condizione di onniscienza, anche se limitata a se stesso, rende in pratica inutile ogni tipo di azione: il mondo che si prospetta dinanzi ai suoi occhi è dominato dal determinismo, come un orologio senza orologiaio: fuor di metafora, un meccanismo perfetto che non ha creatore.
In un mondo del genere non ha senso agire e non ha senso neppure giudicare le azioni altrui.
Il giudice di tutta la terra non giudica affatto
“Il giudice di tutta la terra“, titolo del terzo capitolo di Watchmen, fa riferimento alla Genesi, 18, 25:
Il giudice di tutta la terra non farà giustizia?
Nel mondo di Watchmen, evidentemente no. Chi si erge a giudice deve essere imparziale, non può condividere le caratteristiche di ciò che sta giudicando. Per questo motivo l’unico giudice possibile è proprio il Dr. Manhattan, così diverso dall’uomo, così simile a Dio; proprio a causa della sua disumanità, però, egli è anche amorale, nel senso che è privo di morale: che senso hanno, infatti, i concetti di morale e di giustizia quando non si è più umani?
Per questo motivo, egli rifiuta ogni responsabilità in tal senso: il giudice di tutta la terra non ha intenzione di giudicare, così come non intende agire. Contrariamente alle previsioni di Nietzsche, il cui Superuomo, liberatosi della morale e dei pregiudizi, è libero di affermare se stesso esercitando la propria volontà di potenza, Manhattan è il personaggio più impotente di tutti.
Watchmen: una conclusione?
Rorschach, lo abbiamo visto in precedenza, fallisce per la sua incapacità di giungere ad un compromesso. Ozymandias è troppo razionale per comprendere l’irrazionalità del mondo, mentre il Comico la comprende troppo bene per poter affermare se stesso. Il Dr. Manhattan, infine, è semplicemente oltre i confini dell’umano: per lui “nulla finisce, nulla ha mai fine”.
Cosa ci resta allora? Alla fine di una lettura così intellettualmente coinvolgente ci si sente svuotati e resta un’unica domanda, la più inutile forse, ma anche la più insidiosa e persistente: a che scopo?
“A che scopo questo eterno creare? A distruggere nel nulla ciò che è stato creato?” [3]
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Watchmen, Alan Moore, Dave Gibbons
Watchmen, un’analisi, Mattia Del Core
[1] Così parlo Zarathustra, Nietzsche
[2] L’infinito in un granello di sabbia, DeZ Vylenz (in “Watchmen 20 anni dopo”)
[3] Faust, Goethe