Ciò che oggi ci è noto come camera oscura ha acquisito nel corso del tempo una notevole pluralità di significati, nonché di usi.
In generale, essa consiste in un dispositivo chiuso, eccetto per un foro grazie al quale entra la luce che, riflessa su un piano di proiezione, genera un’immagine capovolta rispetto a quella che si trova al di fuori della camera.
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Agli albori della camera
È sorprendente pensare che della camera oscura già ne fa parola in tempi più che remoti Aristotele (IV sec. a.C.), nel descrivere una sua esperienza personale in cui si narra abbia visto un eclissi all’interno di un piccolo ambiente oscurato.
Egli, appunto, afferma che “i raggi del sole che passano per un’apertura quadrata formano un’immagine circolare la cui grandezza aumenta con l’aumentare della distanza dal foro”.
Da questa affermazione, apparentemente innocua, nascono innumerevoli studi, a partire dalle scoperte scientifiche dell’arabo Alhazen, anch’egli grande osservatore del sole, fino ad arrivare all’utilizzo della camera oscura da parte dei pittori e di altri studiosi eminenti (tra i nomi anche Leonardo da Vinci).
Il vero inventore “ufficiale” della camera oscura fu, però, un napoletano, Gian Battista Dalla Porta, che ne parla nel 1558 nei suoi “Magiae Naturalis Libri”.
In una prima edizione, appunto del ’58, egli descrive la camera originaria senza lente, quindi, nel 1559, quella con la lente.
Dalla Porta, però, ufficializzò solo ciò che già era voce nota ai suoi tempi dagli studi scientifici, ma nonostante questo da molti fu considerato e tuttora è l’inventore originario della camera oscura.
La semplicità della realizzazione di questo apparecchio, qual era la camera in tempi pregressi, ha fatto sì che molti la realizzassero in proprio e ne ha quindi facilitato molto la diffusione.
La camera, inoltre, ha assunto nel tempo le più disparate grandezze: da quelle di una “scatola”, a quelle di una vera e propria stanza fino al giorno d’oggi in cui il tutto è concentrato nel solo obiettivo.
In tempi più “remoti”, infatti, la camera oscura grazie alle sue funzioni era la stanza in cui artisti e pittori lavoravano alle proprie opere, dotata di una certa luminosità ed esposizione alla luce atta a favorire la perfetta riproduzione del paesaggio esterno.
Anche grazie a questa, infatti, pittori come Canaletto e Bellotto sono riusciti a dare una precisione a dir poco “fotografica” ai loro dipinti.
L’apertura o foro stenopeico
La camera oscura, di base, non ha particolari componenti, essendo questa nient’altro che una scatola o comunque un semplice piano riflettente dell’immagine.
Ciò che ne determina in grande parte il funzionamento è il foro attraverso cui passa il fascio di luce per essere riflesso sulla parete della camera.
Il foro di passaggio della luce è detto appunto “stenopeico” (ovvero dall’apertura stretta) poiché anche senza una perfetta nitidezza dell’immagine doveva evitare che la luce fosse soggetta a fenomeni di diffrazione e per fare ciò era necessario che fosse stretto e sottile.
Questa apertura, poi sostituita dall’odierno obiettivo di vetro dotato di zoom e messa a fuoco, aveva il vantaggio di garantire una profondità di campo molto estesa che garantiva definizione anche se non perfetta a tutti gli oggetti contenuti nella fotografia.
Dalla camera all’obiettivo
Ciò che venne in seguito alla camera oscura e soprattutto al foro stenopeico fu, appunto, l’avvento dell’obiettivo, ovvero della lente che ancora oggi cattura le immagini dalle nostre macchine fotografiche.
Ognuno ha una sua lunghezza focale, mentre il piano focale di qualsiasi obiettivo è proprio la retina dell’occhio umano che, come un tempo faceva la camera, riflette l’immagine immortalata.
Maria Francesca Celentano
Fonti:
http://www.fotodemarco.it/wordpress/wp-content/uploads/2008/12/storia-della-fotografia2.pdf