Mario Vargas Llosa, uno scrittore nato ad Arequipa, Perù, un giorno nuvoloso di fine marzo del ‘36.
Flora Tristan, una (troppo) poco conosciuta femminista nata quasi centocinquant’anni prima.
Paul Gauguin, uno dei più celebri e ammirati pittori francesi del IX secolo.
L’Europa, il Perù, Parigi, Thaiti, Arles.
Tre personaggi apparentemente scollegati e cinque luoghi apparentemente casuali diedero linfa, vita e origine a un romanzo (ma sarà poi giusto definirlo così?…) eccezionale dal titolo eccezionale: Il paradiso è altrove.
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La trama
Scritta da Mario Vargas Llosa nel 2003, l’opera è composta da 22 capitoli attraverso i quali si intrecciano due storie a prima vista lontane: quella della vita di Flora Tristan e quella della vita di Gauguin, nonna e nipote.
Flora
È inutile prendersi in giro, in ogni angolo del mondo si conosce e si apprezza l’arte vivida e sensuale di Gauguin. E la sua vita tribolata, fatta di viaggi senza ritorni e fughe più o meno clamorose, è spesso oggetto di gustoso racconto nel mondo affascinante delle biografie d’artisti.
Ben pochi, tuttavia, conoscono purtroppo un personaggio eccezionalmente vitale come quello della nonna materna del pittore francese, Flora Tristan, madre di sua madre Aline Marie.
Flora nasce a Parigi nell’aprile del 1803. I suoi genitori, il colonnello peruviano Mariano Tristan y Moscoso e la francese Anne-Pierre Laisnay, si conobbero a Bilbao, dove la giovane si era rifugiata al tempo della Rivoluzione, e solo poco prima della nascita di Flora si trasferirono a Parigi.
Per un incidente burocratico mai risolto tra l’anagrafe e il consolato di Bilbao, i due giovani innamorati non risultavano legalmente sposati per la legge francese e pertanto, alla morte di Mariano, sua moglie e i suoi due figli (Flora e il fratellino Henrique) non avevano alcun diritto ereditario.
Iniziò un periodo difficile per Flora. La ragazza trovò un impiego come apprendista nell’atelier dell’incisore André Chazal e in poco tempo, sotto la pressione dell’uomo, di sua madre, dell’opinione pubblica e della miseria si decise a sposarlo.
Ma Flora non era una donna come tutte. Soffriva terribilmente della condizione servile in cui il matrimonio l’aveva costretta e avvertiva molto chiaramente, e molto prima che il femminismo fosse una effettiva realtà, di essere considerata semplicemente una macchina per far figli.
Così inizia la vera storia della femminista, socialista, attivista, scrittrice, forza della natura, Flora Tristan. Storia che la porterà dalla Francia al Perù all’Inghilterra, che la vedrà scrivere opuscoli e articoli indignati, conoscere la miseria, le disparità di genere e le differenze sociali di un mondo che “non aveva paura di cambiare”.
La storia, insomma, che Vargas Llosa traccia magistralmente tra le sue pagine, in 11 capitoli, con l’uso puntuale di flashback e l’ipnotizzante ritmo di una prosa limpida e forte, forte come Flora e il proiettile che ebbe confitto nel petto per sei anni (perché non era una donna che sapeva stare al suo posto di donna), ma che non bastò comunque ad ucciderla.
Paul
La seconda figlia di Flora, Aline Marie, diede alla luce un giorno di giugno del 1848 colui che sarebbe stato innalzato nell’olimpo eterno degli artisti più geniali di tutti i tempi e più precisamente nella zona dedicata a coloro che ebbero vite incredibili e travagliate (la più affollata in effetti, non c’è che dire…).
La storia di Paul occupa altri 11 capitoli dell’opera di Mario Vargas Llosa, posti in ordine alterno con quelli dedicati a sua nonna. E con quest’ultima Paul condivide non soltanto buona parte del suo DNA, bensì qualcosa di più grande e allo stesso tempo più sottile: la smania per la ricerca di un Paradiso.
Paradiso che dà il titolo al libro e che se per la coraggiosa Flora è un mondo utopico di giustizia sociale e uguaglianza di genere, per il giovane, egoista, artista, irrequieto Paul è un mondo di amore libero e sensuale, un mondo selvaggio e puro senza vincoli né veli.
Il mondo che cercò passando dal suo comodo borghese impiego di agente di cambio alla idillica Thaiti alla ancora più edenica e libera polinesia francese, e che dopotutto siamo abituati a riconoscere in molti dei suoi quadri, un inno alla sensorialità e pure, contemporaneamente, alla dignitosissima libertà dell’intelletto umano.
Mario Vargas Llosa, Paradiso e utopia.
Utopia politica, sociale, vitale o umana, utopia di Flora o utopia di Paul? Tutto può essere, suggerisce il libro. E allora, perché non utopia di Mario Vargas Llosa e della sua penna tagliente e allo stesso tempo a suo modo romantica?
Domande alle quali poco importa rispondere.
La realtà è sempre lì, e l’unico modo per sopravvivervi è diventarne parte difendendo con unghie e denti la propria libertà e dignità di essere umano. Un’utopia anche questa? Niente da fare. Il paradiso è altrove.
Beatrice Morra