Henri Michaux e l’identità in un mondo ostile

Lo scrittore belga Henri Michaux è stato il portavoce di una particolare ricerca identitaria dell’uomo e dell’uomo-poeta, espressasi particolarmente nella volontà di movimento, nei viaggi (reali o figurati) di cui è costellata la biografia dell’autore.

Nato a Namur nel 1899, in una famiglia agiata, durante l’adolescenza compie gli studi in un collegio gesuita, infine approdando a quelli di medicina. Intorno ai vent’anni trascorre 24 mesi come marinaio, compiendo viaggi in tutto il globo, come in Sudamerica, Cina e India.

L’ultima costa a cui giunge alla fine di questa esperienza è quella della scrittura, nei primi tempi influenzata dalle letture di Lautréamont e dalle opere di Paul Klee e De Chirico.

Giovane da sempre animato da una certa inquietudine, questa tensione caratteriale si manifesta già in una delle sue prime opere, la raccolta poetica Un certain Plume” (1930 e 1938).

L’attrito tra l’uomo e la realtà

Questo “certo” Plume è un uomo dall’identità in perenne discussione, incapace di ritagliarsi la sua posizione in un mondo percepito come estraneo e privo di stabilità, dove la società è in grado di produrre mostri che riescono a contagiare perfino l’interiorità dell’individuo.

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Henri Michaux

Articolato in 13 episodi differenti della vita dell’uomo, vittima della sorte più avversa in circostanze che spesso superano la logica e la realtà; una delle cifre più evidenti della scrittura in versi di Michaux sta nella ricerca di un linguaggio non convenzionale dal punto di vista estetico ed anche morale, infatti in questa prima fase la poesia è pura e semplice espressione, ma mai in grado di definire un contorno netto dell’individuo; un grande ruolo gioca invece l’immaginazione, capace di donare alla mente quegli spostamenti figurati laddove il corpo è intrappolato nella routine delle sconfitte e delle angosce quotidiane.

Questo “espace du dédans” “lointain intérieur”  è tale in quanto non contraddistingue semplicemente il luogo del viaggio nel suo esotismo, ma nella sua capacità di suscitare nel viaggiatore confronti tra il mondo esteriore e quello interiore; diventa così un espediente, insieme alla scrittura, per l’esplorazione del mondo interiore. Tale è lo spirito che anima molte opere composte lungo quasi due decadi, a cominciare da Voyage en Grande Garabagne” (1936) fino a Méidosems” (1948).

Vale la pena menzionare, per il nostro discorso, le esperienze dell’autore con le droghe allucinatorie: l’assunzione, a partire dagli anni ’50, di mescalina e Lsd, dando vita ad opere come L’Infini turbulent” (1957), per la prima volta appare tanto nitida allo scrittore la condizione di quelli che venivano all’epoca definiti “schizofrenici”, a tal punto da volerne fornire una descrizione scientificamente precisa.

Le occupazioni di Henri Michaux

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Michaux è stato anche pittore, in questo caso legato all’art informel.

Nella raccolta di poesie Mes propriétés” (1929) al linguaggio è delegato il compito di esprimere la rabbia autodistruttiva del mondo dell’uomo. In particolare nella poesia “Mes occupations”, priva di una forma ben definita, si avverte decisa la presenza della rabbia, la vocazione alla violenza, all’aggressività da parte del particolare io poetico:

Je peux rarement voir quelqu’un sans le battre.
D’autres préfèrent le monologue intérieur.
Moi non. J’aime mieux battre.

Segue una serie di versi concitati, di onomatopee, attraverso le quali si coagula l’aggressività, in particolare tramite il raddoppiamento consonantico dei verbi della chiusura:

En voici un.
Je te l’agrippe, toc.
Je te le ragrippe, toc.
Je le pends au portemanteau.
Je le décroche.
Je le repends.
Je le redécroche.
Je le mets sur la table, je le tasse et l’étouffe.
Je le salis, je l’inonde.
Il revit.
Je le rince, je l’étire (je commence à
m’énerver, il faut en finir), je le masse, je le
serre, je le résume et l’introduis dans mon
verre, et jette ostensiblement le contenu par
terre, et dis au garçon: «Mettez-moi donc un
verre plus propre.»

Tuttavia il poeta, violento in un mondo di violenti, non riesce comunque a poggiarsi su questa identità e amalgamarla a questo tipo di società. Sopraggiunge infatti il disgusto verso se stessi, che contribuisce ancora una volta a porre una distanza inesorabile col reale, stavolta rappresentato da colore che annegano nella brutalità, e l’io poetico proteso invece fra contrastanti attitudini, varie facce di molte altre medaglie:

Mais je me sens mal, je règle promptement
l’addition et je m’en vais.

Secondo G. Marcotte¹, le violenze, le crudeltà, le sanguinose battaglie della realtà da lui dipinta non dovrebbero turbarci, in quanto abili drammatizzazioni del mondo interiore, che prescinde dai principi criminali. In questo modo, il mondo interiore di Michaux riflette abilmente quello della quotidianità, senza false illusioni o moralismi. La quête identitaria del poeta si esprime tutta attraverso la scrittura, tramite uno stile lucido, secco, quasi sterile, dalla precisione tipica di chi esplora il mondo avvertendone il distacco.

Daniele Laino

Bibliografia:

Michaux H., Mes propriétés, 1929.
Marcotte G., Méchant Michaux, 1969, in “Liberté”, vol. XI, n. 6.

Sitografia:
Mes Occupations: http://henri-michaux.blogspot.it/2009/04/mes-occupations.html