Malgrado l’essere e il sentimento siano entità inconoscibili, bisogna ammettere che un poeta – nel vero senso del termine – è prima uomo, poi artista e, infine, anima. Questa la struttura delle Epistole di Giuseppe Ungaretti, pubblicate postume nella raccolta L’Allegria è il mio elemento.
Dei premi e del Senato me ne frego
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L’Allegria è il mio elemento
Giuseppe Ungaretti ebbe modo di assistere alle tremende vicende che sconvolsero la nostra nazione. Siamo nel tanto vituperato, elogiato, ancora contraddittorio secolo XX; sul pacifico sfondo del Mediterraneo, si profila il boato di due conflitti mondiali. E la poesia finisce tra le braccia di supporti momentanei, fugaci, come fugace comincia a farsi anche il senso ultimo della vita umana.
Ma queste catastrofi non minano la coscienza dell’intellettuale. L’Allegria è il mio elemento raccoglie uno scambio di trecento lettere, corrispondenza tra Ungaretti e il suo allievo Leone Piccioni. Quest’ultimo ebbe agio di frequentare le lezioni di Ungaretti all’università di Roma, con l’onere di trasmettere il pensiero del docente – contenuto non solo nel materiale poetico di Ungaretti, ma anche nelle sue epistole – alle generazioni future.
Politica e poesia
La maggior parte delle missive si regge su due cardini: da un lato, si schianta la voce politica, le accuse al fascismo, la dignitosa difesa del proprio agire; dall’altro, gli sbalzi, le preoccupazioni, anche la competizione, di un artista. Non mancano poi alcuni stralci di analisi letteraria, con punte di esercizio linguistico non più sibilino come prevede la grande tradizione ermetica da Ungaretti inorgoglita.
Prima di avanzare un’indagine sul trascorso biografico di Ungaretti, bisogna sottolineare la potenza propagandista del movimento fascista. Ne abbiamo traccia in un altro contemporaneo del poeta, forse sottovalutato, ma comunque degno di recare un’ottima testimonianza. Elio Vittorini, nel suo giovanile romanzo Il Garofano Rosso, mostra il complesso amalgama di ambizioni che si trovò a vivere la generazione del primo Novecento. Quei ragazzi chiedevano la rivoluzione, si trovavano sbalzati dal socialismo europeo e da una violenza assunta come prova di vittoria. Non dovrebbe sorprendere, dunque, il fascino che colpì anche Ungaretti, almeno prima della catastrofica impresa del Carso.
Mentre il poeta è attivo durante la Prima Guerra Mondiale, nel Secondo conflitto la sua figura si limita a pochi atti caritatevoli, quasi di discolpa, o meglio, di punita innocenza. Ma la passata adesione al Fascismo minerà anche i futuri impegni lavorativi. Questa macchia vocifera in sporadici cenni, in blande accuse, persino quando si sta discorrendo di tutt’altro argomento. Ungaretti, che ammette di aver ospitato in casa sua una famiglia ebrea, tenta di scindere la catena, di liberarsi da una soma più psicologica che fattuale.
Dal mattino alla scrivania
Il gran serbatoio di poesia che rappresa L’allegria è il mio elemento si può notare in alcuni, determinati passaggi.
C’è soprattutto il miracolo di una nuova lingua poetica italiana (…) Lingua parlata, difficile a volte per complicatezza psicologi cada manifestare poeticamente e per il naturale inalterabile segreto (dono) della poesia, se è poesia, segreto anche per lo stesso poeta: l’ispirazione è segreto, segreto è ciò che nella poesia resta la fonte: l’ispirazione vera.
Ecco dunque, in poche righe, le ragioni di una vita spinta alla ricerca e alla conservazione di un segreto. Queste frasi, quasi sillabe all’orecchio, dimostrano la profonda coscienza che mosse l’agire artistico di Ungaretti. Non è raro avere di queste epistole in raccolte di grandi personalità. Ma nel caso di Ungaretti, questa voce è oltremodo sincera, spiccata, quasi a ricordare il dolce “m’illumino di immenso”. Come era stato sottolineato in una precedente missiva, la poesia, benché traslata dal passaggio di culture, rimane magnifica in virtù della sua molla: il sentimento.
La candidatura al Nobel e la delusione
Giuseppe Ungaretti è il maggior poeta italiano dei nostri tempi, e per l’assoluta novità e purezza di linguaggio, che a Emilio Cecchi richiamò il confronto con il Petra e per profonda radice umana (…) Sospiro e grido dell’anima o discorso motivato su tutti i registri, sempre con l’iniziale accento di novità ed essenzialità fulminea.
Questa la speciale epistola riporta la candidatura di Giuseppe Ungaretti al premio Nobel per la letteratura che, in quello stesso anno, verrà invece assegnato a un suo conterraneo: Eugenio Montale. La vittoria di Montale, “un pappagallo starnazzante” a detta dello stesso Ungaretti, lascerà basito il poeta. Basito, certo, ma anche consapevole che una nomina, un riconoscimento, nulla tolgono alla grandezza di un uomo, me ne che meno al suo operato artistico.
Probabilmente non avevano capito nulla. Ma la poesia non occorre capirla. È segreto comunicato a segreto.
Silvia Tortiglione
Fonti:
L’allegria è il mio elemento , Mondadori, a cura di Silvia Zoppi Garampi