Ellen DeGeneres, durante il suo monologo, fa un commento ironico indicando Jared Leto e i suoi lunghi e curatissimi capelli, e subito dopo indica Matthew McConaughey, lì accanto insieme alla moglie, coinvolgendolo nello scherzo. È il 2 marzo 2014, è la serata dell’86ª edizione degli Academy Awards, e Matthew McConaughey è candidato al premio Oscar come miglior attore protagonista. Forse è a quel punto che il grande pubblico se ne rende davvero conto: è in atto la McConaissance.
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Cos’è la McConaissance?
Non solo la nomination, anche la statuetta: Matthew McConaughey vince. E a quel punto qualcuno, davanti allo schermo (che fosse notte fonda in Italia, o qualunque altro orario altrove), deve aver esclamato: “E pensare che era quello di ‘Prima o poi mi sposo’!”
Ecco, la McConaissance potrebbe riassumersi in questo: McConaughey era quel che era (non fu tutto da buttare): un texano dalla pelle abbronzata, le fossette nelle guance e i muscoli, tutto sorrisi per le signore e sensualità ben portata. Insomma, lui era quello di “Prima o poi mi sposo” (Adam Shankman – 2001); “Come farsi lasciare in 10 giorni” (Donald Petrie – 2003); “A casa con i suoi” (Tom Dey – 2006); “La rivolta delle ex” (Mark Waters – 2009)…
E poi, cambia qualcosa. Lui la racconta sempre come una nuova consapevolezza razionalissima, ragionata, probabilmente dovuta al fatto che era arrivato ai quaranta, si era sposato e aveva avuto dei figli: stava andando tutto molto bene, ed era ora che si prendesse una pausa e si chiedesse cosa fare della seconda metà della sua carriera. Ha voluto ricalibrarsi, e riconsiderare il suo metodo e il suo approccio.
Quando si rialzò in piedi, dopo essersi seduto a pensare, scelse…
Quando è cominciata e come è proseguita
…“The Lincoln Lawyer” (Brad Furman – 2011). Matthew McConaughey, una volta messo al corrente del moderno uso della parola “McConaissance”, designa questo film come il primo della svolta. Non lo si può considerare uno dei migliori della sua filmografia, ma fu il primo a cui partecipava che di sicuro avrebbe poi voluto vedere, dice.
Poi venne “Killer Joe” (William Friedkin – 2011). Qui Matthew McConaughey è il cattivo, e contemporaneamente la giustizia: uno strano personaggio con gli stivali e il cappello da cowboy che intimorisce appena apre bocca (contribuisce molto il suo accento strascicato tipicamente texano).
La pelle cotta dal sole e le movenze da simpatico cowboy, un po’ solitario, un po’ chiacchierone, emergono ancora in “Mud” (Jeff Nichols – 2012), di cui tutti parlano unicamente in funzione dell’interpretazione di Matthew.
Anche Christipher Nolan ne rimase impressionato:
Anne Hathaway: «[Christopher Nolan] mi disse: “Be’, [per “Interstellar”] stavo pensando a Matthew McConaughey. […] Pensi sia una buona idea? Hai visto ‘Mud’?” E io dissi: “No… ho visto ‘Magic Mike’”».
Anne Hathaway nominava “Magic Mike” (Steven Soderbergh – 2012) con un sorrisone a trentadue denti che urlava quanto le fosse piaciuto Matthew come spogliarellista-capo, e quanto fosse contenta di lavorare con lui, benché all’epoca la McConaissance non fosse ancora un fenomeno conclamato.
Alla fine, successe tutto insieme, tra il 2013 e il 2014.
Uscì “Dallas Buyers Club” (Jean-Marc Vallée – 2013), con un Matthew McConaughey magrissimo, antipatico, battagliero, ignorante e omofobo, ma non è solo la scelta e la trasformazione fisica a stupire: mai come prima l’attore crede in quel che fa, convince e coinvolge. Nessuno spettatore, a metà film, mentre è immerso per intero nelle vicende, dubiterebbe mai che Matthew è un malato terminale di AIDS furioso con il sistema sanitario statunitense.
Lo stesso anno lo si vede in “The Wolf of Wall Street” (Martin Scorsese – 2013), e il personaggio di Mark Hanna è così strano, divertente e memorabile che bastano le pochissime scene in cui compare a rendere ancora più evidente il talento tardivamente manifestato di Matthew.
E poi, pochi mesi dopo gli Oscar, esce “Interstellar” (Christopher Nolan – 2014), in cui ogni singola scena è valorizzata dalla presenza di Cooper, il personaggio di Matthew, visibilmente combattuto tra l’indole di esploratore e la condizione di padre.
Cooper è un eroe di un’era futura, sempre più stanco e disperato; spericolato ma perfettamente competente, ai limiti dell’arroganza; innamorato alla follia del suo primogenito e della figlia che ha preso da lui; lontano non solo in termini di spazio, ma anche di tempo, dalla famiglia; spaventato e allo stesso tempo caricato di una responsabilità troppo grande per lasciarlo trapelare agli altri membri dell’equipaggio…
Lo stesso anno viene trasmessa la prima stagione di “True Detective” (Nic Pizzolatto), in cui Matthew fa coppia con Woody Harrelson.
Il mondo delle serie tv e il suo pubblico esplodono.
Il personaggio di Matthew McConaughey è talmente inusuale e interessante, criptico e magnetico, da aver sconvolto (di nuovo, a un anno dal Walter White di Bryan Cranston) la concezione del personaggio di una serie tv thriller.
Rust, più che agire, osserva e ragiona, giudica e disprezza, fino all’ultima scena dell’ultima puntata, in cui un barlume di speranza si fa spazio in mezzo al suo dolore di uomo profondamente intelligente, intuitivo soprattutto nel cogliere la realtà dell’umano, e per questo innegabilmente solo.
McConaissance: durerà? è finita?…
…è una nuova parola?
Dopo questa esplosione, “The Sea of Trees” (Gus Van Salt – 2015), il nuovo film a cui Matthew prende parte, presentato allo scorso festival di Cannes, è il varco a cui sono accorsi tutti per aspettare l’attore e star a vedere se davvero è quel fenomeno recitativo che tutti dicono. Talmente alte sono le aspettative che una delusione non dovrebbe sorprendere, ma non si può mai dire. Per non parlare dei progetti previsti per il 2016, tra cui “Gold” ( Stephen Gaghan) e “The Free State of Jones” (Gary Ross).
In conclusione, prendiamo in considerazione l’attuale divertente tendenza a usare il termine “McConaissance” come sinonimo di “trasformazione che concerne un attore”: è indice di quanto sia piacevole e sorprendente vedere un cambiamento, anzi, uno sconvolgimento in meglio di un attore alle soglie della mezza età. E ci consola e ci giustifica un po’ tutti/e… noi che guardammo “Prima o poi mi sposo”.
Chiara Orefice