In ciascuna delle sue opere Dante Alighieri ragiona della sua donna in modo diverso ogni volta, e si è a lungo ragionato sull’interpretazione allegorica di questa donna, la quale fa cadere ogni tentativo reale di riconoscere in essa Beatrice Portinari. Circa la donna del Convivio, infatti, i critici vanno tra loro unanimemente d’accordo nel considerarla come figura della Filosofia.
Ma senza penetrare nelle contenziose dispute tra gli opposti, il Rossetti decide di aderire strettissimamente all’analisi delle parole di Dante, supponendo che la donna, in cui il poeta figurò la Filosofia, non è diversa da quella in cui adombrò la Teologia nel poema, possiamo considerare Beatrice un essere ambiguo a cui Dante ha dato apparenza di Teologia ma essenza di Filosofia, nella quale i principi costitutivi che altri scrittori attribuiscono alla Filosofia e alla Teologia, si trovano in Beatrice in tale armonica corrispondenza da rendere visibile la loro comune essenza e la loro origine.
Vita Nova e Convivio: teologia e filosofia, enigma e soluzione all’enigma.
Il Convivio di Dante è un lungo e minuto commento fatto dal poeta stesso ad alcune sue canzoni che hanno materia d’amore e di virtù. L’opera consiste in quattro trattati in cui, il poeta stesso, dichiara di voler illustrare quattordici canzoni che furono composte per una mistica donna: la Filosofia. Siamo a conoscenza che il lavoro non fu compiuto, e delle quattordici Dante ne illustrò tre sole.
Possiamo ritenere certo che le altre undici si trovano, o tutte o in gran parte, nelle Rime. Ma senza la guida del poeta, riesce difficilissimo distinguere quale siano, fra le rime, quelle canzoni che trattano della donna mistica, infatti chi legge le tre canzoni del Convivio senza il commento che le sminuzza, cadrebbe sicuramente nell’errore di considerarle dedicate ad una donna reale, non rendendosi conto che in quei versi il poeta vi ha nascosto numerosi misteri, che in quest’occasione lui stesso rivela.
Come ricorda Rossetti, già Cesare Balbo ritenne che la natura del Convivio è continuazione della Vita Nova, ma nessuno scrittore, prima del Rossetti, considerò che il Convivio ha per oggetto d’illustrare Vita Nova, al fine di giovarla in ogni sua funzione. Sulla scia del Rossetti si può affermare quindi che: la Vita Nova è l’Enigma, e il Convivio è la Soluzione all’enigma. Quest’idea non ha nulla di nuovo se consideriamo le parole con cui Dante apre il primo trattato del Convivio: «Se nella presente opera ch’è Convivio nominata, e vo che sia, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella» (pp.9)
Nel Convivio, ad ogni minima espressione utilizzata nelle tre canzoni, Dante rivela un significato allegorico, a tal punto che anche le espressioni che ci sembrano più letterarie sono convertite in figurate. Alla sua Filosofia, dopo averle attribuito anima e corpo da donna, le dà facoltà di un essere fittizio. Gli occhi e la bocca della donna stanno ad indicare la capacità persuasiva della Filosofia, e l’amore che lega lui a questa donna è l’amore per lo studio, che lega il Filosofo alla sua scienza a tal punto che di due entità ne risulta una.
Iniziazione come metafora di vita nuova
L’amore della Vita Nova è considerato «rigenerante» nel senso palingenetico del termine (così com’era chiamata anche l’iniziazione ai misteri) e la donna è il mezzo di questa rigenerazione, cioè la scienza che ne deriva. Il termine iniziazione esprime: dare termine alla vita vecchia o profana e dare inizio a quella nuova o sacra; quindi «morire e vivere» sono utilizzati da Dante in maniera metaforica.
E se consideriamo metaforica quella “vita” presente già nel titolo dell’opera, dobbiamo certamente considerare metaforica anche la morte che in quel libello è descritta. Già Apuleio, nel ricordare la sua iniziazione al misteri eleusiani affermò che fu celebrato il lieto giorno della sua nascita. Rossetti cita Salvimi, Trivulzio, Filefo, Anton Biscioni, i quali in tempi diversissimi sostennero tutti il medesimo assunto: che la Vita Nova fosse da intendere come iniziazione e che la donna cantata sia una figura allegoria.
Non sfociamo nel romanzesco se ricordiamo che altri scrittori, molti dei quali «ufficiali» – quindi non provenienti dalle file dell’occultismo – hanno affermano che Dante Alighieri fosse neofito, anzi profondo alunno della filosofia occulta arrivata a lui da tempi più remoti. Che Dante avesse scritto in modo da far credere che la donna della Vita Nova e quella del Convivio fossero diversissime tra loro, per Rossetti non è più un mistero: l’illusione generale che egli creò fu al fine di confondere i più, detti «persone grosse» e illuminare invece i pochi, chiamati «spiriti sottili», avvalendosi di ogni accorto mezzo per identificare agli occhi di degli uni o gli altri, questa o quella donna.
Proprio a questi spiriti sottili Dante dedica la prima canzone del Convivio «Voi che intendendo il terzo ciel movete» invitandoli a udire il ragionar nuovo ch’è nel suo cuore. Nella scienza occulta, la quale fu celatamente esercitata in tutta Europa, il terzo grado è chiamato terzo cielo, cioè quello di Venere in cui ha sede la Retorica. Beatrice nella Divina Commedia ha sede e permanenza nel cielo di Venere. Perché Dante la pose fra quei retori ce lo dice nel Convivio: «Quando quella gentile donna cui feci menzione nella fine della Vita Nova, parve primamente, acompagnata d’Amore, alli occhi miei e prese luogo alcuno nella mia mente[…] Ove si vuole sapere che questa donna è la Filosofia; la quale veramente è donna piena di dolcezza, ornata d’onestade, mirabile di savere, gloriosa di libertade» [Convivio, I, ii].
Allegoria e linguaggio iniziatico
Allegoria è per Dante una verità nascosta sotto una bella menzogna. Il linguaggio di Dante è un linguaggio iniziatico, molti dei più dotti proseliti di antichi e moderni misteri ci potrebbero informare che così dev’essere: scrivere con un linguaggio ambiguo che abbaglia il senso dei più e illumini la ragione dei pochi, avvertire il lettore di non farsi illudere dall’apparenza ma di porre mente alla sostanza, intrecciare gli enigmi con il tessuto dell’opera e l’autore stesso ha il compito di spargere le chiavi d’accesso al suo interno.
Spesso dice e ripete che lui parla a coloro che l’intendono e non ad altri, nella Vita Nova e così parimente nel Convivio. Abbiamo tante altre frasi rivolte solo a coloro che lui sa poterlo intendere, ma se volessimo chiamare in conferma quanto lui diceva attraverso le note di autori come: Barberino suo contemporaneo, Cavalcanti suo amico, Boccaccio suo ammiratore, Cino, Petrarca, ed altri moltissimi, risulterebbe sempre più evidente che il linguaggio misterioso del vate fiorentino era inteso solo da quegli intelletti sani ai quali raccomandò di mirare la dottrina che s’asconde sotto i velami da lui tessuti. Quelli che lui chiama «intelletti sani» nella Commedia, sono gli stessi che chiama «Fedeli d’Amore» nella Vita Nova e che chiama «Spiriti del Terzo Cielo» nel Convivio: non erano altro che filosofi, innamorati della loro scienza secondo ragione e non secondo senso.
Ma qual era questa filosofia che necessitava di tanto misterioso lavorio? Questa filosofia, scrive Rossetti, è quella che si identificò come occulta fin da tempi antichissimo, così tra gli Egizi, sì tra i Greci, sì tra i Romani e così fra tutti i popoli posteriori fino a noi, per la quale furono scritte innumerevoli opere, tra le quali possiamo ricordare: De Occulta Philosophia di Agrippa, per renderci conto di quanto antica sia questa scienza. Basta leggere il modo circospetto in cui Dante parla della Filosofia, il modo in cui invita gli intelletti sani a mirare sotto il velame, a farci capire di quale filosofia si tratti, questa è giunta nascosta nelle sue terzine fino a noi, che pur avendola sotto gli occhi continuiamo a non vederla, o peggio, far finta di non vederla.
Dante non voleva certo far la fine di Cecco d’Ascoli, che per essersi esposto meno oscuramente nell’Acerba, fu arso vivo in pubblica piazza a Firenze.
Lo sviluppo di tutta la Vita Nova porta con se l’interpretazione di tutta la Divina Commedia e l’esposizione di tutta la Scienza d’Amore, basta pensare che Beatrice è la mente di Dante, posta fuori di lui affinché pochi potessero contemplarla, basta ricordarsi che ella è mente filosofica e non teologica, impressa nella scienza pitagorica. La Vita Nova di Dante è un complesso di cifre arcane, le quali esprimono l’iniziazione ai misteri del Medioevo, e lo stesso poeta prendendo il carattere di un iniziato situò, nella sua piccola opera, la morte simbolica tra le due simboliche vite, dalle quali sorge la vita mistica. Doppia è la dottrina di Dante, doppia è la spiegazione, il discorso figurato dev’esser tale da presentare due sensi: uno morale e uno intellettuale, e chi si accontenta del primo, non passa oltre.
Suania Acampa
Fonti bibliografiche:
Dante Alighieri, Convivio.
Dante Alighieri, Vita Nova.
Cesare Balbo, Vita di Dante Alighieri, Torino, Giuseppe Pomba e co, 1859.
Gabriele Rossetti, La Beatrice di Dante. Ragionamenti Critici, Londra, 1842.
Giovanni Boccaccio, Genealogia Degli Dei, Venezia, Comino da Trino, 1547
Enciclopedia Dantesca