Se quando si pensa alle Hawaii ci vengono in mente okulele, ghirlande di fiori e cocktail fruttati, si è lontano dalla visione che ci offre Alexander Payne in Paradiso amaro. Quello che di solito appare ai nostri occhi come un paradiso in cui rifugiarsi dallo stress della vita quotidiana, foto di copertina delle riviste nelle agenzie di viaggio, non basta certo ad esonerare i suoi abitanti dalle difficoltà e le preoccupazioni reali.
Credono che siamo immuni alla vita. Come possono pensare che le nostre famiglie abbiano meno problemi? Che i nostri cancri siano meno mortali? I nostri drammi meno dolorosi? Matt King (George Clooney) ci trascina infatti nel suo inferno personale, un inferno che proprio una di quelle attività così sognate dai turisti, vagare lungo le acque cristalline dell’isola a bordo di una nave, aveva scatenato. Elizabeth King (Patricia Hastie) a causa di una caduta da un motoscafo, entra in un coma irreversibile sconvolgendo l’esistenza del marito e delle due figlie, Alexandra (Shailene Woodley) una diciassettenne alle prese con il periodo peggiore della sua adolescenza tra droghe e cattive compagnie, e Scottie (Amara Miller) che a dieci anni ha una propria e particolare interpretazione del mondo reale che si trova a scoprire.
Tratto dal romanzo Eredi di un mondo sbagliato di Kaui H.Hemmings, Paradiso amaro è la commedia drammatica che nel 2012 ottiene cinque candidature agli Oscar, vincendo il premio per la migliore sceneggiatura non originale. Ma è necessario citare anche il Golden Globe al migliore attore protagonista conquistato da Clooney che affronta alla perfezione il duplice ruolo di padre e marito il cui mondo è caduto in pezzi.
Matt King era già da tempo che aveva visto allontanarsi il suo angolo di paradiso rintanandosi nel suo studio legale per zittire i problemi di un matrimonio alla deriva e di un rapporto con le figlie quasi inesistente. Purtroppo l’incidente mortale diviene anche l’occasione per farne salire a galla degli altri, in particolare la relazione extraconiugale della moglie con Brian Speer (Matthew Lillard). Come fare quando la persona che vorresti odiare di più al mondo è in procinto di morire? Ecco lo strazio di un uomo che deve affrontare una duplice perdita, quella inevitabile della morte e la perdita della sua compagna di vita, legata ormai a un altro. E la difficoltà si racchiude qui, la divisione tra il rancore e il desiderio di conservare dei bei ricordi della donna amata, consapevole ora che in ogni caso quello della famiglia perfetta non sarebbe stato altro che un lontano ricordo.
Paradiso amaro è un film sulla famiglia, poiché quello che ha provocato la distruzione della stessa, in verità non ha fatto altro che palesare le questioni irrisolte e i problemi che erano già parte del suo scenario. Ma allo stesso tempo è proprio questa disgrazia che porta i suoi membri a riavvicinarsi mettendosi a nudo e riscoprendosi parte dello stesso nucleo. Una famiglia è proprio come un arcipelago, sono parte di un tutt’uno, benché separate e sole e sempre alla deriva, lentamente si allontanano…
Paradiso amaro però è la prova che ciò che si allontana non è mai per sempre e non comporta l’oblio. Infatti, lungo la scia dell’allontanarsi, si inserisce il tema delle origini, dell’appartenenza. Matt King e i suoi cugini si apprestano a vendere la sua possessione di terra dell’isola di Kuai, da generazioni tramandata alla sua famiglia,a causa dell’approvazione di una nuova legge. Ebbene, così come è possibile rimettere insieme i membri di una famiglia alla deriva così si può mantenere unito il legame con le tradizioni, con la parte più antica della famiglia e Matt decide di continuare la tradizione e di mantenere la sua terra.
Un film che sebbene l’assenza di happy ending porta ad interrogarci sulla famiglia, sui legami che costruiamo e su quale sia in realtà il nostro vero paradiso. Nonostante Alexandre Payne ce lo comunichi procurandoci lacrime dall’inizio della visione, non possiamo che ringraziarlo e dirgli mahalo.
Celia Manzi