All’inizio degli anni ‘90 un giovane professore di filosofia, Mark Rowlands, fa un acquisto che sconvolge la sua vita: diventa padrone di un lupo, “Brenin” (“re” in gallese). Il risultato di questo evento e di tutti quelli che ne conseguono è contenuto nel libro “il lupo e il filosofo. Lezioni di vita dalla natura selvaggia”, a metà tra un’autobiografia e un saggio di filosofia.
Il libro affronta temi filosofici da sempre presenti nella tradizione occidentale, pur mantenendo un tono divulgativo ed ironico. Per l’autore la filosofia è un pretesto, o meglio uno strumento, per interrogarsi sui quesiti che gli stanno più a cuore. La domanda fondamentale, asse portante di tutto il libro, ovviamente è: cosa distingue l’uomo dall’animale? Ad essa se ne aggiunge però un’altra ugualmente importante importante: cosa può imparare un uomo da suo “fratello lupo”?
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Il lupo e la scimmia
Una delle prime cose che Mark Rowlands tiene a chiarire è che il lupo, inteso non come animale ma come metafora di una parte della natura umana, è tutt’altro rispetto a ciò che la nostra tradizione occidentale ha sempre immaginato.
Fin dalla mitologia greco-romana e germanica i lupi erano associati alla la parte oscura ed istintiva dell’uomo: ne restano riflessi in molta letteratura e nelle leggende popolari (si pensi alla figura del licantropo). Seguiamo il filo dei pensieri di Rowlands per arrivare ad un diverso tipo di metaforizzazione.
I dati di fatto ci dicono che, in rapporto alle dimensioni corporee, il cervello delle scimmie (da cui discendiamo) è più grande di quello dei lupi. Bisogna allora domandarsi se i primati, e dunque anche l’uomo, abbiano sviluppato relazioni sociali più complesse come conseguenza di questo fattore o se, al contrario, sia stata proprio la natura sociale delle scimmie ad aver provocato un aumento nelle dimensioni del cervello. Rowlands parte da questa riflessione per mostrare la radicale differenza di comportamenti tra lupi e scimmie, che considera metaforicamente come due poli opposti del comportamento umano.
Seguendo il suo ragionamento, il primo modo per rispondere alla domanda “cosa ci distingue dagli altri animali” sta proprio nell‘intelligenza sociale di cui siamo dotati. Questa intelligenza sociale, però, si basa su fondamenta tutt’altro che piacevoli: pare infatti che solo la scimmia, a differenza degli altri animali, abbia imparato a formare alleanze strategiche e a ingannare. Questo discende da una visione strumentale del mondo (definita da due primatologi, Andrew Whiten e Richard Byrne, “intelligenza machiavellica“), che si contrappone alla “intelligenza meccanica” degli altri animali.
Scrive Rowlands nel capitolo Decisamente non civilizzato:
Ma noi siamo scimmie e possiamo fare cose che i lupi non si sognano nemmeno. Possiamo creare arte, letteratura, cultura, scienza, possiamo scoprire la verità delle cose. […] Ciò naturalmente è vero, ma dobbiamo ricordare qual è l’origine di tutto questo. La nostra intelligenza scientifica e artistica è un sottoprodotto dell’intelligenza sociale. E la nostra intelligenza sociale consiste nella nostra capacità di essere artefici di complotti e inganni più di quanto ne siamo vittime.
La scimmia sarebbe dunque, in virtù della nostra discendenza e dei nostri affini comportamenti, metafora del nostro modo di agire, ossia di quel modo di vedere il mondo che valuta sempre, anche inconsciamente, ogni cosa in base alla sua utilità (“il valore di ogni cosa è in funzione di ciò che quella cosa può fare per la scimmia”). Ma il lupo che è in noi non è del tutto sopito, e la convivenza con Brenin fa comprendere all’autore alcune verità fondamentali.
Essenza ed esistenza: gli animali sono liberi?
Uno degli aspetti più interessanti del discorso di Rowlands è la sua volontà di dimostrare che alcuni assunti base della filosofia occidentale, che tendono a considerare l’uomo in opposizione agli animali, siano in realtà frutto di pregiudizi. L’autore cita ad esempio Sartre, secondo il quale soltanto nell’uomo l’esistenza precede l’essenza: “l’uomo è condannato a essere libero“. Il rovescio della medaglia è che tutte le altre creature, al contrario, non lo sono.
Perché l’uomo, e l’uomo soltanto, dovrebbe essere in grado di vivere la propria vita in una miriade di modi diversi, mentre ogni altra creatura è condannata a essere schiava del suo retaggio biologico, una mera serva della sua storia naturale? Su che cosa può basarsi questa idea, se non su una forma residua di arroganza umana?
Osservando i comportamenti del suo lupo e di altri animali selvatici Rowlands si accorge che, se c’è una differenza, è più di natura quantitativa che qualitativa: non si possono certo ignorare i bisogni basilari ereditati dalla biologia, ma ogni animale è comunque dotato una certa flessibilità, cioè della capacità di destreggiarsi in situazioni nuove ed impreviste (come, appunto, vivere in cattività per un lupo), saperle sfruttare a proprio vantaggio e trovarvi persino la felicità. L’autore fa l’esempio del mazzo di carte: non si può decidere quali carte del mazzo ci toccheranno, ma pur nel limitato ambito di quelle carte si può scegliere quali giocare e come usarle.
La freccia del tempo: tempo lineare, tempo circolare
La freccia del tempo è uno dei capitoli conclusivi de “il lupo e il filosofo”. Tra le tante cose imparate durante la sua decennale convinvenza con Brenin, una delle più importanti riguarda il tempo.
Perché gli animali sono capaci di vivere tutta la vita ripetendo le medesime azioni ogni singolo giorno e non stancandosi mai? L’autore nota che Brenin e i suoi due cani sono talmente abitudinari da andare in crisi se, anche solo per un giorno, vengono privati di qualcosa che abitualmente fanno. Rowlands adotta un’immagine nietzschiana per spiegare questa differenza: per i suoi animali il tempo è circolare, si ripete perennemente uguale a se stesso, non c’è un punto di inizio o di fine.
Al contrario, gli uomini concepiscono il proprio tempo come una freccia puntata in una certa direzione e sono angosciosamente consapevoli che la traiettoria lineare tracciata da quella freccia dovrà interrompersi. La conseguenza è che gli animali percepiscono ogni momento come completo in se stesso, mentre l’uomo è, secondo la definizione di Heidegger, essere-per-il-futuro.
Brenin ha insegnato a Rowlands che esiste sempre un’altra possibilità: alla visione strumentale della vita si può sostituire un atteggiamento più empatico e sincero; il tempo, che costitutivamente noi uomini percepiamo come avvenire e mai come presente, può a volte donarci dei momenti che hanno, in se stessi, il valore di un’intera vita.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Il lupo e il filosofo. Lezioni di vita dalla natura selvaggia, Mark Rowlands, saggi – Oscar Mondadori
blog di Mark Rowlands: rowlands.philospot
immagini: google