Ma allora chi sei tu, insomma? Sono una parte di quella forza che eternamente vuole il male ed eternamente compie il bene.
In epigrafe al più famoso romanzo del russo Michail Bulgakov, “il Maestro e Margherita“, compare una citazione del Faust di Goethe. Teniamola a mente: anche quando ci perderemo nella girandola di nomi per noi difficili da ricordare, in un caleidoscopio di fatti grotteschi ambientati in una Mosca già abbastanza caotica senza che il diavolo ci metta lo zampino, essa saprà guidarci alla ricerca del senso di un romanzo controverso, ironico e amaro al tempo stesso, profondo e irresistibilmente divertente.
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Bulgakov, il maestro e il diavolo: “i manoscritti non bruciano”
Nel 1930, quasi quarant’anni prima della pubblicazione, un primo manoscritto de “il maestro e Margherita” viene dato alle fiamme dal suo autore. Eppure, tra le pagine di quello stesso libro che Bulgakov aveva bruciato, il diavolo pronuncia una frase emblematica: i manoscritti non bruciano.
Perché il diavolo?
Alla fine degli anni ’20, tra la fine della Nep e l’inizio della collettivizzazione, Mosca è un inferno in terra dominato dal problema degli alloggi. Sembra quasi un paradosso, allora, che il diavolo arrivi a Mosca quando essa versa già nel caos. Sotto le mentite spoglie di un mago nero e accompagnato da un’assurda combriccola di aiutanti, tra cui l’indimenticabile gatto parlante Behemot, Woland innesca una catena di eventi che, pur se apparentemente negativi, visti nel loro complesso hanno in realtà un fine lodevole. Lo scopo di questo diavolo dal nome di origine germanica (la forma tedesca Valand è -non a caso- utilizzata anche da Goethe nel suo Faust) è duplice: dovrà infatti salvare dalla distruzione un manoscritto, fondamentale perché contenente “la vera storia di Ponzio Pilato”, e donare la pace eterna al suo autore.
La struttura del romanzo
Riassumere la trama del romanzo, data la sua complessità strutturale, sarebbe estremamente difficile e anche poco produttivo. Ci limitiamo quindi a rilevare le informazioni essenziali al nostro obiettivo, quello di comprendere la natura del “diavolo di Bulgakov” e il suo ruolo all’interno del testo.
Il romanzo è diviso in due parti: nella prima, volutamente comica e confusionaria, il diavolo e i suoi accoliti seminano il panico nella città di Mosca -tra le varie cose, due uomini perdono la testa (uno decapitato, l’altro finisce al manicomio), alcuni altri vengono magicamente trasferiti da un posto all’altro; viene inoltre organizzato uno spettacolo di magia nera che mette a nudo -metaforicamente e letteralmente- la cupidigia della popolazione. Incontriamo un gran numero di personaggi e sembra che l’unico obiettivo di Woland sia quello, tradizionalissimo, di divertirsi a danno dei “poveri” umani. Ad uno sguardo più attento, però, possiamo già notare che, inspiegabilmente, Woland agisce in nome del bene: le sue birbonate costituiscono una sorta di pettine che fa venire al nodo le ipocrisie, svela gli inganni, punisce gli immeritevoli e permette ai “buoni” di emergere.
La seconda parte è incentrata sulla storia di Margherita e del maestro, autore senza nome del romanzo di Pilato che dev’essere salvato dalle fiamme. I capitoli di quest’ultimo intervallano la narrazione e costituiscono un vero e proprio romanzo nel romanzo, che s’intreccia con la storia dei protagonisti.
Ciò che sembra mancare all’uomo, sia nella contingenza di una Mosca labirintica e infernale, sia nella Giudea quasi irreale che Bulgakov rappresenta attraverso la penna del maestro, è la serenità: quello stato di beatitudine che tutti bramano e che, forse a causa della troppa brama, non si riesce mai a raggiungere. Riscontriamo quindi un rispecchiamento tra forma e contenuto: la caoticità del romanzo rimanda alla caoticità della vita stessa.
Woland: la benignità del male
Sarebbe troppo difficile poter affermare con certezza cosa sia il male -e discernerlo dal bene; ciò che Bulgakov ci insegna è la sua capitale importanza nel dipanarsi della vita.
Così Woland afferma:
Hai pronunciato le tue parole come se tu non riconoscessi l’esistenza delle ombre, e neppure del male. Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Le ombre provengono dagli uomini e dalle cose. Ecco l’ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c’è di vivo per il tuo capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco.
È Woland a salvare il romanzo del maestro, assicurandogli la libertà di espressione che il governo gli aveva negato; è sempre Woland a riportargli Margherita, e ancora lui a donare la pace al protagonista e alla sua amata.
In un’intervista Oliviero Diliberto ha indicato questo romanzo di Bulgakov come “libro che gli ha cambiato la vita”: per la molteplicità di temi a lui cari, ma soprattutto per la sua originalità.
In effetti, la capacità di Bulgakov sta soprattutto nel ripescare una figura diavolesca dimenticata, quella del diavolo “carnevalizzato” tipicamente medievale, e illuminarla di una luce assolutamente nuova, trasformando la comicità in ironia e ponendolo al centro della riflessione, sempre attuale, sul rapporto tra bene e male e su quello tra vero e falso. Sono vere le assurdità accadute a Mosca dopo l’arrivo di quello strambo mago nero? Cosa accadde realmente in Giudea quand’era procuratore Ponzio Pilato?
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Il maestro e Margherita, Michail Bulgakov, prefazione di Mauro Martini e traduzione di Salvatore Arcella, Newton Compton Editori
sitografia: intervista a Oliviero Diliberto
immagini: deviantArt (ConfusedLarch), google