Una perla del cinema americano
Gangster Story è la rappresentazione di quei film che nonostante abbiano in qualche modo portato grandi novità al cinema, o che abbiano in qualche modo dimostrato le grandi potenzialità del mezzo cinematografico, finiscano per passare in secondo piano, oscurati da nomi di opere che ci fanno sobbalzare. Possono esserci diverse ragioni che spiegherebbero tale fenomeno. Nel caso di Gangster Story, ciò può essere attribuito in parte al fatto che molti critici giudicarono negativamente l’opera, soprattutto alla prima proiezione al festival del cinema di Montréal, concludendo quindi che la critica abbia favorito la collocazione di questo film in secondo piano, ignorando importanti elementi innovativi del film, prima di tutto il montaggio di Dede Allen. Inoltre Gangster Story ci trasmette un senso di leggerezza, nonostante la violenza e la discutibilità di alcuni gesti, che in parte ci costringe ad andare a fondo nel film, cercando nella violenta romanticità di un film di una banda di criminali, gli elementi che l’hanno portato ad essere al quarantaduesimo posto nella classifica dei migliori cento film americani redatta dall’American Film Institute.
Gangster Story è il quinto lungometraggio di Arthur Penn, la sceneggiatura è stata scritta da David Newman e Robert Benton, anche se inizialmente era stata proposta a Godard e Truffaut, ciò spiegherebbe le influenze del cinema europeo sullo stile di Penn e la sua volontà di utilizzare determinati elementi. A comporre il cast troviamo l’attore-produttore Warrean Beatty, Faye Dunaway, Gene Hackman, Estelle Parsons, che si aggiudicò un oscar come miglior attrice non protagonista, da segnalare inoltre una piccola comparsa per Gene Wilder
Gangster story, la trama
Gangster story è tratto dalla vera storia di Bonnie e Clyde, una coppia di due giovani fuorilegge che sconvolse la provincia Americana negli anni trenta. Clyde Barrow (Warrean Beatty) è un giovane attraente dall’aspetto signorile appena uscito dal carcere, Bonnie Parker (Faye Dunaway) è una sensuale ragazza di un paese sperduto del sud, annoiata dalla monotonia della sua vita da cameriera. Bonnie, dopo una iniziale diffidenza, accoglie la novità rappresentata da Clyde, che subito dimostra le sue intenzioni rapinando un negozio di alimentari. I due, presi dall’euforia, danno così inizio ad una grande fuga per le strade degli Stati Uniti del sud. Ai due si uniranno prima il giovane e intontito meccanico Clarence (Michael J. Pollard) e successivamente il fratello di Clyde con sua moglie, cioè Buck Barrow (Gene Hackman) e Bianca (Estelle Parsons). Continua così l’avventura tra diverbi, inseguimenti d’auto e sparatorie fino all’epilogo che tutti conosciamo.
Tra richiami al cinema francese e novità cinematografiche
Gangster Story già nel momento della realizzazione può essere considerato un film diverso dagli altri, tant’è che Jack Warner, capo della Warner Bros, considerava il film con ostilità. Di fatto, assistiamo ad un film prodotto da un attore con aziende indipendenti e in più girato da un artista solitario. Una serie di elementi che mettevano in luce le trasformazioni che stava attraversando Hollywood in quel periodo, che si preparava ad entrare in una nuova fase artistica. Inoltre Gangster Story è la prova del fatto che ormai anche i film prodotti dalle grandi major commerciali, rifiutavano quel codice morale, che aveva assicurato la cosiddetta affidabilità morale del cinema hollywoodiano. Così mentre i critici non accettarono il linguaggio visivo del film e lo ridussero a semplice rappresentazione della criminalità, i giovani e la gente disperata si identificarono molto in quei personaggi.
Ma Gangster Story ha la particolarità di mischiare cinema classico e cinema moderno e di utilizzare elementi del cinema europeo in un film a metà tra il road movie ed il gangster movie in un’ambientazione tipicamente americana. Arthur Penn conferisce ai mezzi cinematografici una grande importanza: montaggio e fotografia riescono a coinvolgere completamente lo spettatore, aiutati da una recitazione da moltissimi elogiata. Il montaggio, frutto del lavoro di Dede Allen fu considerato da molti come una grande innovazione in seno al cinema americano, anche in questo caso associato molto al cinema francese di Truffaut e Godard, che in questo film disgrega improvvisamente le sequenze con primi piani improvvisi, spesso con quelli della sensuale Bonnie. La fotografia, la quale si aggiudicò l’oscar, è anch’essa memore della nouvelle vague, del quale ritroviamo molti elementi come gli inseguimenti in automobile, gli improvvisi cambi di angolazione, l’uso del rallenty e tanto altro, molti dei quali sono rintracciabili nella sola scena finale, che non solo elimina l’alone romantico del film, ma esprime un’idea di morte molto scarna, quasi surreale e molto cruenta.
Un’importante punto di svolta del cinema americano e contemporaneo, un grande esercizio di novità stilistiche e innovazioni tecniche, un sincero ed intelligente elogio del cinema europeo sotto forma di citazioni di tecniche cinematografiche e importanti interpretazioni di attori: tutto questo e tanto altro è in Gangster Story.
Roberto Carli