L’incompatibilità fra due persone è sovente causa di conflitti e risentimenti e spesso si usa indicare due persone incompatibili come “cani e gatti”. Ma da dove deriva questo modo di dire? Esso ha origine nelle “incomprensioni” etologiche fra le due specie che ha portato allo stereotipo di cui sopra. Ma analizziamo nello specifico tale situazione
L’etogramma dei cani: un fiume di espressioni
Ciò che i cani sono capaci di esprimere col corpo, il volto e la prossemica è davvero stupefacente e difatti i cani hanno un repertorio di espressioni e posizioni corporee per ogni loro inclinazione o sentimento. Il loro volto inoltre è capace di modulare molte espressioni, fino a 46 in alcune razze quali Siberian Husky. I cani (nel caso si tratti però di cani con giuste competenze sociali) riescono a gestire le situazione di incontri con loro simili grazie la loro abilità nel modulare alcuni segnali definiti “segnali calmanti“. Alcuni di essi sono il leccarsi il naso, sbadigliare, voltare il muso in un’altra direzione e compiere curve in modo da non sembrare minacciosi e belligeranti nei confronti dei loro simili e non solo (anche se spesso noi compagni umani non rispettiamo nessuno dei messaggi che i cani ci mandano). Osserviamo inoltre che anche il corpo nel cane ci è utile per identificare lo stato d’animo dell’animale, ne sono un esempio il portamento della coda, la rigidità del corpo, la postura e la piloerezione. Tutti questi segnali sono dunque usati dai cani per un canale comunicativo non verbale, mentre per un canale sonoro esiste l’abbaio e la modulazione di questo in base alla situazione e allo stato d’animo. Di seguito una carrellata di foto in cui si mostra le espressioni e le posture canine:
E i gatti?
I gatti, essendo animali solitari resi sociali dalla convivenza con l’uomo, hanno un etogramma molto vasto ma diverso da quello dei cani. Nella comunicazione non sonora, osserviamo che il gatto per mostrarsi contento tende ad alzare la coda dritta (segnale di tensione nei cani), quasi perpendicolare al corpo, mentre per mostrare un disagio tende a muoverla, atteggiamento che ricorda lo scodinzolare di un cane. La postura è anche diversa, in quanto un gatto pronto all’attacco non tende a “ingigantirsi” come farebbe un cane ma tende ad appiattirsi se non addirittura stendersi per difendere la schiena dall’aggressore e nel frattempo colpire con gli artigli. Anche la prossemica è diversa, in quanto gatti in confidenza e amicizia tendono ad andare dritti l’uno verso l’altro per poi sfregare le loro teste mentre gatti che vogliono sfidarsi fanno curve e emettono miagolii associati a soffi molto acuti e rauchi.
Il fraintendimento alla base di tutto
Alla luce di ciò che è stato detto è possibile comprendere perché cani e gatti siano definiti nemici atavici dalla notte dei tempi. Il loro vero problema è l’incompatibilità comportamentale che porta al conflitto. Oltre al fraintendimento però spesso si associa anche la questione per la quale gatti non socializzati coi cani, appena ne vedono uno, tendono a fuggire mettendo in moto l’istinto predatorio del cane che lo fa scattare all’inseguimento della preda. In cani in cui però la sequenza predatoria è completa, l’inseguimento può avere un epilogo mortale per il povero gatto fuggitivo pertanto andrebbe insegnato ai cani con tali atteggiamenti o di evitare l’inseguimento o di ritornare al richiamo del proprietario. Sebbene però ci siano tali incompatibilità etologiche fra le due specie, quest’ultime non sono statiche e le loro abilità di comprensione fanno sì che siano capaci di comprendere i comportamenti dell’altra specie e di evitare i conflitti. Non sono pochi infatti i casi in cui cani o gatti facciano ricorso ad atteggiamenti tipici di una o dell’altra specie in casi di convivenza sotto lo stesso tetto. In conclusione, il detto “come cani e gatti” ha le sue giusti basi etologiche ma grazie ad una attenta e mirata supervisione di ambo le parti è possibile permettere la convivenza fra cani e gatti. Che la tolleranza e il rispetto dell’altro sia una prerogativa SOLO animale? Ai posteri l’ardua sentenza.
Stefano Capodanno