The Elephant Man è stato forse uno dei pochi film di David Lynch ad essere apprezzato allo stesso tempo dalla critica e dal grande pubblico. La storia qui raccontata è ispirata alla vera storia di Joseph Merrick, nel film John, un uomo divenuto famoso nel pieno della società vittoriana per il suo aspetto deforme, tanto da prendere il nome di The Elephant Man. Le testimonianze che si hanno riguardo Joseph Merrick ci giungono attraverso il testo di Sir Frederick Treves, ovvero The Elephant Man and Other Reminiscences, nel quale il dottore inglese, che a suo dire aveva preso a cuore il caso dello sfortunato Joseph, descrive l’uomo elefante, la sua vita, la sua deformazione e i successivi incontri, fino a giungere alla morte. Dal punto di vista cinematografico, The Elephant Man è insieme ad Una storia vera un film lontano dal surrealismo e l’onirismo lynchiano; ciò non toglie nulla al film, che anzi rappresenta un altro pezzo che si inserisce perfettamente nel puzzle della sua piccola filmografia.
Il film è diretto e sceneggiato da David Lynch, che riadattò una vecchia sceneggiatura ai suoi intenti. Fu il produttore Mel Brooks a credere molto in questo progetto seppur dopo un’iniziale incertezza determinata dalla poca esperienza del regista statunitense. Tra tutti film di Lynch inoltre, The Elephant è quello che ha avuto uno dei cast più importanti. Abbiamo da una parte tre giganti del cinema inglese: Anthony Hopkins, John Hurt e John Gieglud. Tra questi tre c’è Anne Bancroft, espressione femminile del cinema d’oltreoceano, l’Annie Sullivan di Anna dei miracoli e la signora Robinson de Il laureato per farci un’idea.
The Elephant Man, la trama
Nell’Inghilterra vittoriana ottocentesca, il Dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins), durante un freak show, spettacolo molto di moda in quegli anni, gestito dall’ avido signor Bytes (Freddie Jones), vede per la prima volta e per puro caso John Merrick (John Hurt), utilizzato come fenomeno da baraccone dello show. John attira il pubblico per le sue numerose deformazioni in gran parte del corpo, soprattutto nella testa, tanto da essere soprannominato The Elephant Man per una lontana somiglianza con l’elefante. Il Dr. Treves, rimasto affascinato da questo personaggio, vorrebbe analizzarlo per scopi medici, Bytes però si ritiene addirittura il proprietario di Merrick, tant’è che il dottor Treves è costretto a pagarlo. Una sera l’uomo elefante, dopo esser stato picchiato selvaggiamente da Bytes, chiede aiuto al dottor Treves, il quale decide di aiutarlo e di curarlo in ospedale. Qui a poco a poco John scoprirà un nuovo se stesso, diventando a poco a poco una vera e propria celebrità della buona società londinese, fino a che la sorte non gli sarà di nuovo avversa.
Una storia, immersa nel bianco e nero, commovente e intensa
La storia di The Elephant Man non è solo il racconto cinematografico di una vita drammatica trascorsa nell’emarginazione e nella tristezza, è soprattutto la storia di un uomo, John Merrick, che dopo essere stato scambiato a lungo tempo per un elefante o un essere senza coscienza, ritrova la sua natura umana fino ad avere la forza di aprirsi all’uomo, che prima era l’altro, ma che ora è diventato qualcosa di più vicino e tangibile. In senso generale e moralistico, il film è una riflessione sul diverso e sul modo che abbiamo di approcciarsi con esso, incapaci di comunicare in quanto percepito come troppo lontano o ripugnante, troppo legati ad etichette e pigri di andare oltre servendoci della conoscenza.
Ma la caratteristica che ci colpisce di The Elephant Man è il modo in cui Lynch l’affronta. Innanzitutto perché chi conosce Lynch, si aspetta un film narrativamente poco lineare, pieno di elemento perturbante di natura onirica, suoni, luci e colori che evocano emozioni inconsce, lontano quindi da una rappresentazione ordinaria della vita umana, dove per ordinaria si pensi a film che non si servono di sperimentazioni che esplorino in maniera differente tutto ciò che è esplorabile; Lynch dunque abbandona alcuni elementi del suo stile, realizzando così un film che analizza nella maniera più reale possibile la dimensione umana e i sentimenti, offrendoci immagini crude di una vita da emarginato, con i suoi intervalli di gioia e di ingenua e non banale dolcezza. Eppure c’è un punto di congiunzione tra ciò che normalmente ci mostra Lynch e ciò che invece è il suo intento in questo film, questo punto è la scena finale che unisce la dimensione onirica e extra corporale con un desiderio umano di un uomo che desidera una volta e per tutte sentirsi tale. Una scena commovente, squisitamente lynchiana e cinematograficamente autentica.
Come vorrei dormire come la gente normale…
La storia è inserita nel bianco e nero, soluzione che Lynch aveva adottato anche per Eraserhead. Se in quel caso serviva ad aumentare il senso del perturbante, in The Elephant Man l’uso teatrale e superbo del bianco e nero ha essenzialmente la funzione di dare alla storia un aspetto malinconico e cupo, inoltre conferisce alla narrazione un senso del passato e dell’antico, che da’ alla storia un gusto romanticamente drammatico. The Elephant Man risulta alla fine uno dei film che meglio ha rappresentato il dramma della diversità umana, rappresentando attraverso un non-uomo la più pura e ingenua ma commovente natura umana, mettendo alla luce un Lynch capace di uscire perfettamente dal suo stile.
Roberto Carli