Da Doctor Who a Predestination, da Terminator a Harry Potter: il bootstrap paradox, il causal loop e la predestinazione… al cinema.
Dunque, c’è un uomo – dice il Dottore (“Doctor Who” – stagione 09, episodio 04) – che ha una macchina del tempo. Quest’uomo ha anche un’incredibile passione per l’opera di Ludwig van Beethoven: nessun’altra idea è ottima come quella di andare nella Germania del XVIII secolo, allora! A cosa servirebbe, altrimenti, una macchina del tempo? Eppure l’uomo non riesce a trovare Beethoven. Nessuno lo ha mai sentito nominare! Letteralmente, non esiste. Il viaggiatore del tempo è nel panico: non può esistere un mondo senza la musica di Beethoven! Be’, per fortuna ha portato con sé tutti gli spartiti da far autografare. Così li copia uno per uno, e li fa pubblicare… diventa egli stesso Beethoven.
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La storia continua, senza battere ciglio. Questo è quel che si chiama Bootstrap paradox.
La domanda è: chi ha composto la Quinta di Beethoven?
Ritorno al futuro potrebbe introdurci
Il paradosso di “Ritorno al Futuro” (Robert Zemeckis – 1985), di cui si è già scritto, potrebbe aiutarci a distinguere alcuni loop temporali che spesso, nella fantascienza, vanno a coincidere.
Marty McFly torna indietro per salvare il matrimonio dei genitori che, minacciato, minaccia a sua volta l’esistenza di Marty stesso e dei suoi fratelli. Se lo scopo del viaggio nel tempo fosse stato opposto, cioè se il figlio avesse voluto impedire il matrimonio e la propria nascita, mettendo pertanto in dubbio non solo la propria esistenza ma anche il viaggio temporale stesso, avremmo avuto una variante del cosiddetto “Paradosso del nonno”, volto appunto a dimostrare l’impossibilità del viaggio nel tempo.
Il paradosso del nome di Marty è poi ciò che si chiama “Causal loop”: la causa del nome di Marty è una decisione della madre, ma la causa della decisione della madre è il nome di Marty. Insomma, la causa di un evento è causata dall’evento stesso.
Il “Causal loop” è noto anche come “Bootstrap Paradox”. Tuttavia, quando il Dottore ne parla, sembra voler comprendere sotto tale denominazione un altro paradosso, un’implicazione del primo. In breve, se l’aver interferito con la linea temporale non impedisce al corso degli eventi di procedere come sempre, come lo si conosceva prima del viaggio temporale, parliamo di “Predestination Paradox”.
E ora, possiamo parlare di qualche film!
Terminator (James Cameron – 1984)
Kyle Reese proviene da un futuro devastato dalla guerra nucleare, dove a comandare sono i robot, e fa parte della resistenza capeggiata da John Connor, faro e guida di chi ha ancora speranza e forze per lottare. Kyle si offre volontario per una missione nel passato il cui scopo è salvare la madre di Connor, Sarah, dal Terminator, a sua volta inviato nel passato ad ucciderla.
Ora, benché non lo si veda, quel John Connor è il perno del paradosso: avvertita la minaccia per sua madre e quindi per se stesso, fa in modo che ad andare indietro nel tempo sia… il suo futuro padre. Nel passato, infatti, come ben si sa, Kyle si innamorerà di Sarah e le darà un figlio di nome John: il bambino diventerà proprio quel comandante che Kyle tanto rispetta e ama.
Potremmo parlare di un paradosso simile a quello di Marty e dei suoi genitori, un altro “Paradosso del nonno al contrario”, ma di certo è più gradevole – e più corretto – riconoscere in “Terminator” un bell’esempio di “Causal loop”. John Connor è la “causa” dell’esistenza di sua madre che, a sua volta, è la “causa” della nascita e dell’educazione di John Connor.
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban
(Alfonso Cuarón – 2004)
Ecco lo strumento per viaggiare nella quarta dimensione: la giratempo. Harry e Hermione interferiscono con la propria linea temporale per salvare non solo l’ippogrifo Fierobecco, ma anche Sirius Black, fuggito dalla prigione di Azkaban.
E l’ippogrifo viene dunque portato via appena prima della sua esecuzione, e Sirius, fatto evadere dalla torre di Hogwarts in cui era temporaneamente rinchiuso, gli viene messo in groppa per volare lontano, in un luogo sicuro.
Solo in apparenza, però, il presente, che prevedeva nere conseguenze sia per l’uomo che per la creatura magica, viene fatto deviare dal suo corso originale: si rivela essere, al contrario, immutato, e anzi ciò che ne è origine e causa nasce proprio dalla piccola avventura di Harry e Hermione.
L’esempio più adatto è l’ormai classica scena del primo Patronus di Harry: il giovane mago salva il se stesso del passato eseguendo un incantesimo, di cui non ha ancora piena padronanza, con una sicurezza concessa unicamente dall’essersi visto, nel passato, nel bel mezzo della suddetta evocazione, impeccabile ed efficacissima.
Harry: “Avevi ragione, Hermione! Non era mio padre che avevo visto! Ero io! Ho visto me stesso mentre evocavo il Patronus, prima. Sapevo di farcela, stavolta, perché… l’avevo già fatto! Per te ha senso?”
Hermione: “No!”
Tutto questo gioca evidentemente con il concetto di predestinazione, di impossibilità effettiva di modificare il destino di ognuno: in questo caso parliamo allora, innanzitutto, di “Predestination Paradox”.
Predestination
(Michael e Peter Spierig – 2014)
Non soltanto basato su, ma interamente costituito da un paradosso è invece il nostro terzo film, quello adatto a concludere un articolo del genere.
Un clamoroso spoiler, per chi non lo ha visto, sarebbe riassumerne la trama così come qui si farà: una donna si auto-genera cambiando sesso, tornando nel passato e mettendo incinta se stessa, per poi infine trasportare ancora più indietro e lasciare in orfanotrofio la neonata che sarà, appunto, la donna stessa.
La pellicola è una piccola opera d’arte, complicatissima ma nitida e chiara. Condurre lo spettatore con così tanta attenzione e premura attraverso il nodo di un “Bootstrap paradox”, per di più nella sua forma assoluta, è una dimostrazione di abilità notevoli (nonché di un certo ordine mentale).
Ed è una minuscola e deliziosa gioia perdersi in ragionamenti del genere, talmente intricati e perfettamente fine a se stessi.
Chiara Orefice