Vi è mai capitato di imbattervi in un musicista, in una band che sprizza talento da ogni suo pezzo ma che, per motivi indipendenti dalla propria volontà, proprio non riesce a spiccare il volo? La storia della musica è piena di esempi del genere, di tantissimi gruppi estremamente validi ma che decisamente non sembrano essere nati sotto una buona stella. La storia del rock è piena di storie anche più tristi: storie di artisti geniali contro cui il destino sembra essersi accanito, tanto da comprometterne per sempre la carriera. È questo il caso, o meglio, è questa la storia di Michael Matijevic, frontman degli Steel Dragon, nonché uno dei più grandi cantanti rock ed heavy metal di sempre.
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Michael Matijevic: un talento precoce.
Nato a Zagabria il 30 Novembre del 1964 e trasferitosi in America a poco più di sei anni, si fece subito notare per le sue immense doti vocali, tanto da iniziare a cantare per le emittenti radio locali sin dalla più tenerà età, e insieme a John, suo fratello maggiore, iniziò ad esibirsi nei piccoli club di Greenwich, nel Connecticut. Non passò molto tempo prima che Michael Matijevic si avvicinasse al rock: furono i Led Zeppelin, scoperti all’età di unidici anni, a farlo innamorare di quelle sonorità così aggressive, così diverse dal country che lui e suo fratello avevano suonato per anni.
Nonostante i contrasti con il padre, che non approvava la scelta artistica, Michael e suo fratello fondarono i Teazer, una piccola band che suonava prevalentemente pezzi del repertorio dei Black Sabbath, degli Zeppelin, e anche alcuni inediti. In pochissimo tempo la band fu notata da un produttore, che, dichiaratosi interessato alla loro musica, convinse Michael Matijevic ad andare, con suo fratello e gli altri membri del gruppo, a New York a registrare il loro primo disco.
Grazie ad un’estemporanea ospitata nei The Mission fu notato da un certo Don Stroh, che si rivelò poi essere proprietario di uno studio di registrazione nel Connecticut e che propose a Michael di entrare a far parte di una band che lui stesso stava assemblando.
La nascita degli Steelheart.
Dopo un breve cambio di nome, da Red Alert a Steelheart, e dopo aver firmato un contratto con la major MCA Records, nel 1990 il gruppo pubblicò Steelheart, l’album eponimo che, oltre a segnare l’esordio della band nel panorama discografico, li portò alla fama, vendendo oltre un milione di copie in un anno, e che, grazie anche ad un tour mondiale, li rese celebri in tutto il mondo.
Il debut album della band era un mix perfetto di glam rock, hard rock ed heavy metal, caratterizzato da rocciosi riff di chitarra, assoli melodici e, ovviamente, dalla voce di Michael Matijevic, capace di un’incredibile estensione e di un pregevolissimo timbro, che diventerà il suo marchio di fabbrica.
L’entusiasmo generato da una fama ogni giorno sempre più grande e dal realizzarsi del suo sogno di diventare un musicista spinse Michael Matijevic, a soli sedici anni, ad abbandonare il liceo per dedicarsi a tempo pieno alla sua carriera che, oramai, sembrava in ascesa.
L’infortunio di Michael Matijevic e lo scioglimento degli Steelheart.
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Nel 1992 fu pubblicato Tangled in Reins, secondo album della band, che rappresentò un cambio di direzione artistica: dalle sonorità tipicamente glam del fortunatissimo disco di esordio si era passati ad un heavy metal vero e proprio, con un suono di chitarra molto più presente ed affilato, scelto per distaccarsi dalla commercialità di Steelheart. Nonostante gli ottimi propositi, Tangled in Reins non riuscì ad imporsi come il suo predecessore, anche a causa di una promozione molto ridotta e dell’avvento del grunge, che finì col ridimensionare la band americana ad un ruolo di secondo piano nel panorama musicale.
Ma proprio quando la band stava risalendo la china, in occasione di un concerto a Denver, tenutosi il giorno della festa di Halloween, accade l’imprevedibile: Michael Matijevic si arrampica su un faro che era stato fissato male, e, una volta sceso a terra, la torretta che aveva provato a sistemare gli crolla addosso, scagliando tutti i suoi 450 chili di peso addosso al cantante inerme.
Da questo momento inizia un lunghissimo calvario per il cantate di Zagabria, che per anni sarà impossibilitato a compiere i più piccoli movimenti con il collo, pesantemente ferito dall’incidente subito. La sua defezione causò lo scioglimento degli Steelheart, e, come se tutto questo non fosse già abbastanza grave, Matijevic fu costretto a fronteggiare personalmente tutte le spese dei suoi trattamenti medici: neanche un dollaro gli fu versato come risarcimento, né ricevette aiuto dalla sua casa discografica.
La rinascita degli Steelheart.
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Un primo tentativo di reunion avvenne nel 1995 e portò alla pubblicazione di Wait, terzo album della band americana. La produzione del lavoro fu estremamente travagliata a causa del contratto che legava il gruppo con il suo precedente management, che finì col condizionarne non solo l’uscita, ma anche la distribuzione: il disco, infatti, non arrivò sui mercati europeo e statunitense.
Nel 2001 Michael Matijevic partecipò alla stesura della colonna sonora del film Rockstar. Sotto lo pseudonimo di Mikey Steel, il cantante presterà la sua formidabile voce a Mark Wahlberg, alternandosi con Jeff Scott Soto e arrivando a cantare in ben otto tracce, facendo comprendere a tutti che la tragedia che gli era capitata non aveva scalfito la sua arte.
Nel 2008 arriva quello che, ad oggi, è l’ultimo disco degli Steelheart, intitolato Good 2B Alive; da questo momento in poi, è stato un susseguirsi di voci puntualmente smentite. Lo stesso Michael Matijevic dichiarò, nell’ormai lontano 2011, che i lavori per il quarto album della band erano quasi ultimati, e che sarebbe poi seguito un tour mondiale. Nulla di tutto questo si è verificato, probabilmente anche a causa dei vari drammi familiari che hanno colpito l’artista, tra cui la perdita dei genitori.
In attesa di sviluppi, da appassionati di musica, non possiamo che fare gli auguri a Michael Matijevic, ad un immenso artista, dotato di un talento e di una creatività fuori dal comune, con cui il destino è stato beffardo, che ha avuto una grande carriera, ma che chissà quali traguardi avrebbe potuto raggiungere se fosse rimasto nel pieno delle forze.
Claudio Albero