Con la “Liberazione di San Pietro”, vediamo come Battistello Caracciolo segua la lezione del Caravaggio nel realismo della scena, della luce e delle figure.
Battistello Caracciolo: la vita
Giovan Battista Caracciolo, meglio conosciuto come Battistello Caracciolo, è stato uno dei più importanti seguaci di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, giunto a Napoli nel 1607 dopo la fuga da Roma.
Battistello Caracciolo fu scolaro di Fabrizio Santafede, che era considerato il Raffaello napoletano per l’impronta manierista delle sue opere, e successivamente allievo di Belisario Corenzio, ma l’arrivo del Caravaggio a Napoli fu di fondamentale importanza per la sua formazione, in quanto segnava il distacco dall’eredità della pittura manierista, dalle sue bizzarrie e tonalità innaturali, per lasciare il posto ad un realismo esasperante delle figure, della luce, e così di tutto lo scenario.
Recatosi a Roma nel 1614, Battistello Caracciolo viene a contatto però con altre correnti artistiche, tra queste il classicismo dei Carracci, fondatori dell’ Accademia degli Incamminati (che aveva lo scopo di formare teoricamente e praticamente gli artisti) e tradizionalmente intesi come i conservatori del classicismo cinquecentesco, in contrapposizione alle tendenze naturalistiche del Caravaggio, che per dare l’idea di materia e corporeità ai personaggi non si avvaleva tanto delle potenzialità del disegno e delle prospettive quanto di un sapiente uso della luce.
A contribuire al “distacco” di Battistello dalla linea tracciata dal Caravaggio fu l’arrivo a Napoli di pittori come Domenichino e Lanfranco, entrambi della su citata scuola emiliana.
Queste due correnti opposte trovano però una sintesi nella pittura di Battistello che, se da un lato assorbe i modelli classicistici e idealistici, dall’altro predilige gli insegnamenti ‘’indiretti’’ del Caravaggio (parliamo di insegnamento indiretto perché l’artista lombardo, in perenne fuga a causa dei suoi guai con la giustizia e in contrasto con la tradizione delle botteghe, non ebbe una vera e propria scuola).
La Liberazione di San Pietro: come Battistello Caracciolo recepisce la pittura del Caravaggio
La Liberazione di San Pietro è un olio su tela eseguito nel 1615, conservato presso la Chiesa del Pio Monte della Misericordia di Napoli.
Inizialmente la tela era stata commissionata a Carlo Sellitto, morto prematuramente. Solo in seguito la commissione viene affidata a Battistello, per cui ricevette un considerevole compenso da parte del Pio Monte, istituzione fondata nel 1602 da sette nobili napoletani consapevoli delle difficoltà cui andava incontro la popolazione e da allora impegnato a portare avanti opere solidali, ispirandosi appunto alle sette Opere di Misericordia.
Di quest’operato è testimone anche l’arte presente nella Chiesa presenta una pianta ottagonale, e sull’altare principale regna la maestosa tela de “Le Sette Opere di Misericordia” del Caravaggio, commissionata ad hoc, che rappresenta per l’appunto le sette opere di misericordia corporali citate dai Vangeli; ognuno dei sette altari accoglie un dipinto dedicato ad un opera di misericordia portata avanti dall’ente.
La tela di Battistello Caracciolo simboleggia l’azione benefica di liberare i carcerati: il soggetto scelto è l’episodio biblico della liberazione di San Pietro dal carcere per intercessione di un angelo. Questa però non è illustrata nell’opera di Caravaggio, in quanto non di tradizione evangelica.
Sono qui raffigurati da Battistello San Pietro e l’angelo, immersi in un ambiente cupo, con una luce proveniente da sinistra che illumina appena le ali dell’angelo e i soldati profondamente addormentati, mentre prende in pieno un carcerato coperto da un drappo rosso.
In quest’opera, Battistello riassume le tendenze caratterizzanti tutto il suo operato artistico: innanzitutto il classicismo dei colori, come si vede dai bagliori argentati dell’angelo, e la citazione cinquecentesca di Raffaello, che però viene sopraffatta dalla lezione del Caravaggio. Il maestro di Urbino sceglie infatti di rappresentare l’episodio biblico dividendolo in sequenze, e la luminosità rossiccia, simbolo della presenza di Dio, che emana la figura dell’angelo conferisce alla scena un’atmosfera onirica.
Contrariamente al racconto di Raffaello, Battistello Caracciolo conferisce alla scena un realismo quasi fotografico: innanzitutto sceglie di rappresentare un momento preciso, il momento in cui l’angelo, che se non fosse per le ali appena visibili potrebbe essere scambiato per un giovanetto qualunque (esattamente come il Caravaggio, anche Battistello utilizzava dei modelli estratti dall’ambiente popolare), conduce via un San Pietro privo di aureola o comunque senza alcun riferimento alla sua futura santità, tra i soldati che non si accorgono di niente.
La scena si svolge in un ambiente buio, e in quanto tale Battistello sceglie una luce filtrata, proveniente da un’apertura sulla sinistra, che pone in primo piano non i protagonisti della scena, bensì il carcerato riverso (che potrebbe essere un riferimento all’opera del Caravaggio). Questo espediente però anziché distogliere l’attenzione dall’azione principale, conferisce teatralità e drammaticità all’azione che si vuole rappresentare.
Battistello Caracciolo dà così all’angelo e al Santo un aspetto piuttosto umano e terreno, dal realismo enfatizzato dall’uso modulato della luce e del chiaroscuro, che conferisce all’opera un espressività all’epoca considerata scabrosa: pur tenendo presenti i riferimenti classici, Battistello è da annoverare tra i maggiori caravaggisti perché proprio come il ribelle artista lombardo non ricerca la perfezione dei soggetti rappresentati, bensi opta per il volere rappresentare la scena per quello che è, adottando la concezione di arte non come un estenuante ricerca del bello e del sublime, bensì di una fedele rappresentazione della realtà, senza finzioni e senza filtri simbolici per poter essere nobilitata.
Rossella Cavallo