Verso la fine degli anni ’70 viene compiuto un omicidio nello scenario della musica rock, nello specifico ai danni del Progressive. Esso viene ucciso da un’ondata che emerge nel 1976 e che avrà il suo picco nell’anno immediatamente successivo: stiamo parlando del Punk.
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Le origini
Ogni genere musicale ha strette connessioni con il proprio contesto storico, ed è quindi necessario analizzare quest’ultimo per comprendere il perché del suo emergere.
Gli anni ’70 erano figli della disillusione Hippie, della delusione derivante dal tramonto del movimento sessantottino, che non era riuscito ad ottenere gli obiettivi prefissati.
A questo è da aggiungere la peggiorata crisi economica, con la fine del boom di anni ’50 e ’60. Da una parte gli States vengono sconfitti nella guerra del Vietnam.
Morta una controcultura, se ne fa un’altra. Il mondo Hippie era visto ormai come qualcosa di vecchio, stantio, di conservatore. Masse di giovani abbracciarono il diktat consumista. Altri, invece, continuavano ad essere bisognosi di una controcultura in cui riconoscersi.
Questa, così come per l’universo Hippie, ebbe le sue radici in terra statunitense, e come per la psichedelia sbarcò in un secondo momento in Inghilterra, pronta ad accogliere il Verbo Punk.
Gli Stooges e i Velvet Underground sono i lontanissimi progenitori. Per i primi si parla addirittura di proto-Punk, mentre i secondi diedero al movimento le sue basi concettuali, vale a dire l’attenzione per il mondo underground. Fra le radici più prossime sono da elencare gli MC5 e soprattutto i New York Dolls, un gruppo glam dedito a travestimenti che anticiparono l’attire dei Kiss.
Sono i bassifondi di New York ad essere seminali per la nascita del Punk in terra americana. Gli Hippie parlavano di pace e amore, aspettando la pacifica età dell’acquario. I ragazzi “ribelli” della fine dei ’70s, invece, si fanno profeti dello squallore urbano.
A Bowery, tra le zone più malfamate della Grande Mela, nacque il 10 dicembre 1973 il Country Blue Grass Blues And Other Music For Uplifting Gormandizers, noto anche come CBGB. In breve tempo diventa il ritrovo di molti dei principali nomi della scena Punk, che ancora doveva formarsi.
Al CBGB si esibiranno i Television, i Suicide, i Blondie, i Talking Heads, Patti Smith, ma saranno soprattutto i Ramones il gruppo del “circolo” del CBGB che più rappresenterà lo spirito della semplificazione Punk. Le loro canzoni sono brevi, bozze più che vere e proprie canzoni, dallo stile approssimativo, e per questa ragione perfetti prototipi di questo genere. Il loro aspetto è perfettamente coerente alla loro filosofia musicale: capelli lunghi, t-shirt, giubbotti, jeans strappati e scarpe sportive. Un abbigliamento da strada per musicisti da strada.
Nel 1975 viene finalmente dato un nome a questa scena confusa: Punk. La parola già esisteva, presente in Shakespeare già con significato dispregiativo. Già qualche anno prima del ’75, inoltre, la critica aveva definito Punk lo stile musicale degli Stooges. Nel 1976 nasce la rivista Punk, ed è la consacrazione del nome: da allora il movimento sarà riconosciuto universalmente con quel termine.
Prog vs Punk
Il tramonto del Progressive sicuramente non vede l’emergere del Punk come unica causa, ma bisogna senz’altro dire che questo contribuì moltissimo alla cosa.
I generi musicali, più che essere semplici differenze di natura tecnica, sono soprattutto ideologie e modi di vedere il reale e il medium-musica in modo diverso. La filosofia Prog era basata sull’intenzione di elevare il rock ad opera d’arte, avvicinandolo allo spirito della musica classica, trasformandolo in cultura “alta”.
Il Punk ribalta totalmente questa concezione. Viene visto da molti come un reboot del rock, un ritorno al passato, alle sue origini. Il Rock viene semplificato, dal punto di vista tecnico i gruppi di questo genere suonano canzoni di breve durata e facili da suonare. Si tratta di cultura volutamente bassa, filosofia della strada che esprime i valori degli strati sociali più bassi. All’inautenticità e artificiosità del Prog vengono opposte immediatezza e spontaneità.
La rivoluzione Punk aveva come nemici tutti i generi pomposi che avevano caratterizzato gli anni ’70 e miravano a distruggere l’idea di un impegnativo labor limae con oggetto le proprie canzoni. Esso offriva al suo pubblico urla ed energia primitiva.
La musica dei giganti inavvicinabili del Prog, maestri della tecnica, risultava agli adolescenti Punk come arida, incapace di comunicargli qualcosa. Il Punk vuole esprimere una rabbia che il Prog, invece, sembrava rigettare.
Ritorna così la formazione delle più classiche rock band: chitarra, basso, batteria e voce, pochi accordi adrenalinici e veloci. Si tratta del modo ideale per esprimere l’attitudine selvaggia del mondo Punk, fatto di reietti, emarginati dalla società.
Al termine Punk si affiancava l’idea di una Blank Generation: il genere anarchico per eccellenza era la colonna sonora perfetta per una generazione vuota, senza ideali.
Do It Yourself: l’industria fai-da-te
La sua filosofia anti-sistema si riflette anche sull’industria musicale ad essa legata. Il Punk non sposa il mondo delle major, ma si lega ad un universo di piccole etichette discografiche, riviste, locali, negozi di musica di nicchia. I gruppi principali dell’ondata Punk avevano enorme notorietà e diversi di questi firmarono con grosse firme discografiche, ma il grosso del mondo Punk rimase lontano dai big names della discografia mondiale.
Il mercato si allarga, è la nascita del “Do It Yourself“, lo spirito di autoproduzione. Le etichette discografiche che si occupano di Punk nella fine degli anni ’70 erano più di un centinaio. I gruppi Punk preferiscono esibirsi nei piccoli locali piuttosto che accompagnati dalle enormi scenografie dei concerti di Led Zeppelin o Genesis. La distanza tra pubblico e artista si assottiglia vertiginosamente.
Il CBGB di New York avrà i suoi corrispettivi londinesi nel 100 Club, nel Roxy e nel Vortex, che ospiteranno gruppi come Sex Pistols, Clash, Siouxsie & The Banshees.
La carta stampata si divide nei grossi media che parlano del Punk in modo preoccupante e nelle fanzine autoprodotte a bassa tiratura e con pochissime spese. In Inghilterra è Sniffin’ Glue, il cui nome è tratto da una canzone dei Ramones, ad essere la più nota fanzine autoprodotta, arrivando a 15000 copie annuali. Lo stile di queste fanzine, fatte spesso di collage di altri giornali, influenza la grafica Punk a tal punto da ripresentarsi sulle copertine della produzione dei Sex Pistols.
L’industria Punk, se industria si può definire, rispecchia fedelmente la filosofia dei suoi gruppi: la convinzione che ognuno, senza grossi mezzi, possa fare tutto da sé. Non occorre saper suonare per…suonare. Le band Punk erano caratterizzate da volontaria scarsa conoscenza dello strumento musicale. Chiunque poteva salire sul palco e suonare, sebbene le band che si distinsero avevano ovviamente un talento unico.
Perché l’obiettivo del mondo Punk era rovesciare gli schemi, le gerarchie, dimostrare che esse erano completamente inutili e che chiunque potesse fare qualsiasi cosa. E, agli occhi di un’intera generazione, si dimostrarono decisamente convincenti.
Davide Esposito
Bibliografia
- Ribellione Punk in E. Guaitamacchi, Storia del Rock, Hoepli, 2014