Nominato agli Oscar come miglior attore protagonista per “Steve Jobs” (Danny Boyle – 2015), Michael Fassbender non ha bisogno di presentazione. Godendo di una collezione ragguardevole di sfolgoranti interpretazioni degne della più longeva memoria, all’apertura del 2016 è in sala con “Macbeth” (Justin Kurzel – 2015), con il già citato “Steve Jobs”, preparandosi nel frattempo all’uscita di altri cinque film.
Benché il tifo sia indirizzato per lo più all’eterno snobbato dall’Academy – Leonardo Di Caprio – Fassbender rimane un ragazzone dall’aria beffarda che, pur consapevole di non dover aspettare poi molto per ricevere la statuetta, non ne ha il benché minimo bisogno per consolidare la sua carriera.
Gli anni ‘10
Dunque, la storia potrebbe cominciare così, in medias res: nel 2011 uscì “X-Men: First Class” (Matthew Vaughn), prequel della fortunata trilogia sui mutanti. La pellicola vedeva protagonisti James McAvoy, una giovanissima Jennifer Lawrence, e un tizio piuttosto bello che osava interpretare il personaggio di Ian McKellen, Magneto. Chi era costui?
Un brusio a questo punto corre tra la folla. Molti lo hanno riconosciuto.
Il tizio è il soldato che “fa tre con la mano” all’americana (alzando cioè indice medio e anulare, invece di pollice indice e medio, all’europea), tradendosi come spia tra i tedeschi in “Bastardi senza gloria” (Quentin Tarantino – 2009). Ah, sì sì, è lui.
E in realtà qualcuno risale ancora più indietro, con l’aiutino di Wikipedia: il tizio è il soldato che salta sulla schiena di Leonida alla fine di “300” (Zack Snyder – 2007)! Eh, sì, è lui. Si chiama Michael Fassbender.
In realtà, prima del 2011, tale Michael Fassbender dà alcune altre prove di talento di maggiore corposità: nel 2008, con soli due film all’attivo e qualche anno di televisione, partecipa come attore pressoché solista a “Hunger” di Steve McQueen.
L’interpretazione è da brivido, il suo monologo è ormai quasi un classico: prima che dimagrire diventasse mainstream tra gli attori, Michael Fassbender si ridusse pelle e ossa e diede dimostrazione di un’intensità raggelante.
Appena un anno dopo è nel cast di “Fish Tank” (Andrea Arnold – 2009) nella parte di nuovo ragazzo della mamma di Mia (Katie Jarvis, bravissima accanto a Fassbender), saltato fuori dal nulla e adorato all’istante dalle donne di casa, seppur in modo diverso per ognuna. In un ambiente malato come quello di una casa di estrema periferia e di una famiglia che non sa amarsi, si presenta con un raggio di sole da adorare al punto da rimanerne bruciati.
Ricordiamoci anche di “Jane Eyre” (Cary Fukunaga – 2011), che non regge il confronto con alcune più vecchie versioni, ma che gode dell’intesa cupa e sofferta tra Fassbender e Mia Wasikowska.
Che si dia lavoro a Michael Fassbender
Se continua così, che nessuno osi fargli mancare l’occasione di mettersi alla prova. Costantemente impegnato, la recitazione di Fassbender non fa che migliorare: è sempre più attraente, e non parliamo di aspetto fisico.
Calamita per l’occhio e per l’orecchio, la sua presenza garantisce una certa densità alla resa finale della pellicola, quasi fosse un colore estraneo allo spettro conosciuto, più intenso di tutti gli altri ma ambientatosi tra di loro con tale armonia da illuminarli e valorizzarli: così accade in “A Dangerous Method” (David Cronenberg – 2011) o in “Frank” (Lenny Abrahamson – 2014), risultati del concerto eufonico di più protagonisti.
Se nel primo caso il ruolo di Jung sottolinea con cura il misto di ironia spettinata e dura regalità tipico di Fassbender, la seconda pellicola è la classica prova che consacra un attore alla gloria: copritegli la faccia.
Sa recitare ugualmente?
Momento di suspense; risposta: anche con un’enorme testa di cartapesta calata fin sulle spalle, Michael Fassbender è magnifico.
Nessuna interpretazione è meno degna di nota delle altre: il mondo sbarra gli occhi, sconvolto, davanti allo spinoso secondo lavoro a cui lo chiama Steve McQueen, “Shame” (2011) di cui l’attore è il fulcro, contraddittorio, tagliente e scavato da un cancro silenzioso. Ancora sotto la medesima direzione Fassbender partecipa poi a “12 anni schiavo” (2013), ritrovandosi aguzzino dalla barba impregnata di alcol e gli occhi cerchiati di crudeltà. Una valanga di premi si riversa sull’attore in entrambi i casi.
Che non ci si stupisca poi se alla fine è arrivata la nomination all’Oscar, anche se per l’interpretazione di Steve Jobs. È talmente usurato, il personaggio, che risulta quasi impossibile aggiungere qualcosa di significativo alla sua figura: l’opinione che si tratti di un film piuttosto inutile è comprensibile. Tuttavia, con quel suo modo di essere distaccato e caldo di umanità allo tempo stesso, Michael Fassbender, accanto a Kate Winslet e con il bell’aiuto di alcune trovate davvero niente male di Danny Boyle, fa valere la visione del film.
Peculiare col sorriso da squalo, dai lineamenti duri, c’è qualcosa di unico in lui… una sorta di ferocia tenuta a bada sotto una pacatezza severa.
Chiara Orefice