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Il “piccolo” universo cinematografico di Cassavetes: tra famiglia e indipendenza
John Cassavetes sta al cinema indipendente americano come Rossellini sta al Neorealismo. Qualsiasi discorso sulla storia del cinema indipendente americano non può escludere il nome di John Cassavetes, il quale rappresenta il pioniere di questo filone cinematografico, l’iniziatore per eccellenza. Egli rappresenta uno di quegli artisti che è riuscito a creare qualcosa da zero, presentando un modo di fare cinema completamente nuovo, sebbene non si possa negare l’influenza della Nouvelle Vague sul suo cinema; il regista greco-americano sarà a sua volta modello di ispirazione per registi come Martin Scorsese, Solondz o Carraush.
Cassavetes, da buon regista indipendente, era solito realizzare i suoi film in famiglia: moglie, madre, suocera, i suoi amici di sempre, sono questi gli attori dei suoi film, amici che a volte lo aiutano anche nella produzione. Attraverso questa produzione familiare, egli può lavorare ottenendo ingaggi relativamente bassi e i costi totali ridotti, ma non solo. Trovandosi a lavorare con persone che conosce bene, riesce ad ottenere dalla recitazione uno degli elementi che hanno reso il cinema di Cassavetes un cinema vivo, pulsante e grondante di realismo. Tra gli attori di Una moglie infatti troviamo la moglie di Cassavetes, Gena Rowlands e Peter Falk, che collaborerà in altri film del regista.
In primo luogo, per me non si tratta di attori, ma di persone, esseri viventi. I registi sono piccoli dittatori e la stampa dà loro troppa importanza, a me compreso. È l’intensità delle emozioni che conta. I ruoli sono interpretati da persone che amo, mia moglie, sua madre, mia madre, altri Cassavetes, amici, ed è impossibile controllare le emozioni di coloro che amate, però più li conoscete, più si può far passare quello che sentono.
Una moglie, la trama
Mabel (Gene Rowlands), sposata ormai da tempo all’italo-americano Nick (Peter Falk), con tre figli, sente crescere il conflitto con tutto ciò che la circonda, soprattutto nei rapporti con il marito, che a causa del lavoro si trova lontano da casa. Nick a sua volte diventa spesso nervoso, irascibile a causa sia dei comportamenti della moglie sia dei ritmi ai quali si sente sottoposto Mabel, del resto, ha ormai atteggiamenti che agli occhi degli altri, soprattutto del marito, risultano completamente incomprensibili: gesti di ogni tipo, movimenti ambigui, mascheramenti. Un giorno però, dopo l’ennesimo litigio, Mabel subisce un crollo nervoso in seguito al quale dovrà prendersi un periodo di riposo dalla vita di sempre, finendo in una clinica. Dopo sei mesi Mabel è di ritorno dalla clinica, ma le cose non sembrano cambiate come Nick e i familiari speravano.
Libertà di recitazione per un film libero, reale e femminile
A guardare Una moglie si ha quasi l’impressione di assistere ad uno spettacolo teatrale più che ad un film, o forse anche ad un documentario. Di fatto Cassavetes aveva inizialmente concepito Una moglie come una dramma teatrale, idea successivamente messa da parte per il rifiuto di Gena. Gli attori diventano il fulcro di quest’opera, non solo per come sono diretti dal regista, ovvero in un modo quasi documentaristico, ma soprattutto per la loro presunta o reale libertà di movimento, di esprimere le emozioni e di gesticolare, tutto ciò frutto anche del rapporto tra il regista e gli attori al di fuori del film, che poi ci si chiede: quanta distanza c’è tra la finzione cinematografica e la realtà? Gli attori di questo film sono persone, quando l’inquadratura si ferma sui loro sguardi sembra di vedere la realtà, si ha l’impressione di poter sentire l’incomunicabilità di quella storia, il dramma e il senso di oppressione di Mabel e l’incapacità di Nick e degli altri di capire i suoi comportamenti. Cassavetes voleva che gli attori improvvisassero molto, non nei dialoghi però che devono essere rispettati alla lettera, ma nei gesti, nelle espressioni facciali e nei movimenti.
Io non li dirigo in ogni dettaglio e non si correggono mentre recitano. Non cercano di dare al pubblico un‘immagine simpatica di sé stessi. La cosa rara è che si rivelano come persone. Questo fa parte della mia mentalità. Dobbiamo allenare noi stessi a rimanere sensibili, sono le emozioni a farci vivere.
Una peculiarità di Una moglie è l’assenza di particolari visioni, elucubrazioni, punti di vista esterni di un regista onnisciente che muove il film nel suo mondo. Cassavetes ci offre un’opera che esiste perché è, non perché è pensata; non che sia frutto di improvvisazioni o schemi sommari, ma semplicemente si dimostra uno squarcio in una realtà quotidiana, libera da catene ideologiche e artistiche. La regia, come si dice in questi casi è ridotta al minimo, che in questo caso non significa sminuire ma dare vita alla scena, dare un cuore pulsante a ciò che è rappresentato, renderla meno artificiale. I tagli non si risolvono mai secondo formule ordinarie e il montaggio lascia un grande spazio al piano sequenza. La sceneggiatura invece, è scritta esclusivamente sulla moglie, e quindi sul suo personaggio femminile, e da questo punto di vista rappresenta uno delle più importanti analisi cinematografiche sulle emozioni e la vita di una donna, al pari dei personaggi femminili dei film di Bergman o Antonioni. In un periodo di grandi produzioni, grosse spese e qualità scadente, Cassavetes è la dimostrazione della possibilità di fare film di qualità in famiglia e con pochi mezzi, se non quelli del buon senso.
Roberto Carli
Fonti
- http://www.nazioneindiana.com/2015/02/08/cinedimanche-14-john-cassavetes-una-moglie/
- Jürgen Müller, 100 capolavori del cinema 1960-2000