Il 2015 delle serie tv è stato un ricco pozzo di materiale, abbondante in quantità e anche in qualità. Tra i flop dell’anno si è inserita però quella che l’anno scorso, di questi tempi, avremmo sicuramente immaginato diversamente. Al centro del focus di oggi v’è naturalmente la seconda stagione di True Detective, prodotta da HBO e diretta dal visionario Nic Pizzolatto. Otto puntate e cast di tutto rispetto, da Colin Farrell e Steve Vaughn fino al contorto Taylor Kitsch e a Rachel McAdams, non hanno reso il giusto secondo il grande pubblico.
Il fantasma di True Detective (Stagione 1)
A volte il peso del proprio stesso lavoro diventa il più ingestibile, difficile da sopportare. Lo sa bene Nic Pizzolatto, autore quest’ultimo dell’incredibile plot narrativo e scenografico che ne ha in poco tempo fatto la fortuna. A far meglio di prima probabilmente nessuno ha pensato, perché è assodato che tutti avrebbero rimpianto la prima stagione. Far meno peggio di quanto si prevedesse, invece, era l’obiettivo preposto. Vediamo se è stato centrato.
Fin dal primissimo episodio è parso chiaro che True Detective avrebbe risvegliato l’attenzione di una fetta troppo ristretta di pubblico. Un caso complicato al centro della storia, di cui è venuto meno l’interesse dopo poche puntate, e per giunta spalmato male durante l’arco narrativo. È chiaro, però, che nel fare questo tipo di critica va riconosciuto alla produzione il coraggio di aver provato ad improntare l’attenzione sulle vicende interiori dei personaggi piuttosto che sulla trama. Una scelta che ha ben poco di ragionevole, se si considera che proprio nel 2014 gran parte dei successi della serie sono derivati dal talento di Matthew McConaughey (Rust Cohle) e Woody Harrelson (Marty Hart), ma che si è decisi di intraprendere (forse) proprio per cercare di rompere i legami con il passato. E quindi ogni termine di paragone con esso.
Quattro is better than due, multiple is better then single
A fronte di una scelta del genere, d’altro canto, non sembra chiaro perché la storia abbia avuto bisogno di ben quattro personaggi principali, che rende (lo capite bene) ancora più complesso tentare in sole otto puntate di caratterizzarli al meglio. Senza dimenticare tra l’altro che, con il complicarsi della vicenda, ogni episodio ha dovuto scegliere se recuperare in parte il filo narrativo o se dare adito alle volontà della produzione, dedicando scene di ampio respiro a dialoghi ben posti e caratteristici. Gli episodi sono risultati, così, controversi e intricati, mai caratterizzati da un massimo comun divisore.
Forse, ci fosse stato un unico regista, come Fukunaga nella prima stagione, le cose sarebbero andate diversamente. Anzi, trattandosi di una serie antologica (e quindi auto conclusiva), diventa (quasi) necessario dover adottare un unico punto di vista.
I lati positivi
Abbagliati dal caso del Re Giallo, da Carcosa e dall’ultimo tiro di sigaretta di Rust Cohle, come avevamo accennato già tempo addietro, il giudizio della seconda stagione di True Detective appare notevolmente truccato. E invece, con un po’ di lucidità in canna, non si possono non riconoscere i suoi punti di forza.
Pizzolatto si è confermato un grande scrittore, erede della tradizione americana di thriller e noir. Vero e proprio interprete di una realtà logora e gretta, a tratti visibilmente orribile, ha plasmato i suoi agenti nell’idea di chi annaspa e vive ogni attimo di vita in apnea. Soffocato dal grigiore della realtà che vive e dagli inconveniente del suo mestiere.
La colonna sonora, o le colonne sonore. A iniziare dalle incisione di Lera Lynn…
…per finire con l’opening “Nevermind” di Leonard Cohen, perfettamente in regola con il carattere a volte erotico, lussurioso (vedi la scena dell’orgia) dell’intera serie.
https://www.youtube.com/watch?v=JZi6yIDwnxw
Ed è proprio quest’atmosfera persa e gretta della California, la perfezione di buona parte dei dialoghi, la performance di Colin Farrell e l’importanza dei personaggi donna, che in fin dei conti hanno reso la seconda stagione di True Detective un prodotto piacevole. Ma che, se si cambia sistema di riferimento, viene ben presto nullificata.
In definitiva, non ci sentiamo di dire che True Detective sia stato un flop, se almeno non lo si rapporta al suo passato. Anzi, un prodotto interessante e che ha mantenuto viva l’attesa di una svolta, con un epilogo caratteristicamente ambiguo, che ancora una volta ci mette in condizione di pensare più per noi stessi che per chi ne è protagonista.
Il futuro è nelle mani di Pizzolatto, che ha un contratto con HBO fino al 2018. Difficile immaginare che non ci sarà una terza stagione di True Detective a questo punto, più facile invece sperare che lo scrittore si riposi a dovere, rimetta a posto le idee e concluda degnamente quello che ha iniziato. D’altronde, se in tutta una vita ha creato la vicenda del Re Giallo e in soli 14 mesi l’intricato caso di Ben Caspere, significa che una penna come la sua ha bisogno di spazio e tempo. Noi glieli daremo.
Nicola Puca
Fonte immagine in evidenza: wired.it