Ne Il grado zero della scrittura Roland Barthes esprimeva le sue prime considerazioni di semiotica, mentre La parola contraria di Erri De Luca è del 2015.
Erri De Luca, ha ragione il procuratore capo di Torino quando paventa il terrorismo No Tav?
Caselli esagera.Forse esagera, ma in macchina i due ragazzi arrestati avevano caricato molotov…
(sorride ironicamente) …Sì, pericoloso materiale da ferramenta. Proprio quello che normalmente viene dato in dotazione ai terroristi. Mi spiego meglio: la Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo.Dunque sabotaggi e vandalismi sono leciti?
Sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile.
(1 Settembre 2013, intervista rilasciata all’Huffington Post)
La parola contraria: un’apologia autoreferenziale
La parola contraria è un pamphlet di appena sessantadue pagine, un testo in cui Erri De Luca traccia un percorso diviso in tre capitoli: Cronaca, Influenze, Istigazioni. Esso racchiude in versione “romanzesca” – nella misura in cui cede il passo alla retorica di un linguaggio metaforico – un’idea di Letteratura e di società che fornisce all’autore l’orizzonte di significazioni necessario a comporre una trama più che una tesi, laddove il termine “trama” ci proietta nell’ottica di uno sguardo finzionale e artistico sul reale:
“La Letteratura è un traguardo che non risponde a generi né temi. Avviene, e quando avviene è festa per chi legge […] La Letteratura agisce sulle fibre nervose di chi si imbatte nel fortunoso incontro tra un libro e la propria vita. Sono appuntamenti che non si possono prenotare né raccomandare. A ogni lettore spetta la sorpresa di fronte alla mescola improvvisa tra i suoi giorni e le pagine di un libro”.
Buona parte della sua strategia di difesa – da intendersi quella prettamente mediatica – è racchiusa in questo testo e da questo testo emerge con chiarezza il sostegno attorno al quale essa ha fatto perno: la rivendicazione del diritto di applicare la naturale polisemia del verbo “sabotare” alla situazione specifica dell’intervista, rilasciata il 1 Settembre 2013 all’Huffington Post, che ha causato la condanna nei suoi confronti da parte della ditta costruttrice della linea Tav Torino – Lione.
La parola contraria è qui il diritto di esprimere un’opinione contraria e la difesa di questo diritto, con gli strumenti che la semantica mette a disposizione.
Ricostruire in questa sede le tappe di una vicenda giudiziaria, da poco conclusasi con l’assoluzione dell’imputato, è un impegno superfluo, considerato che l’analisi non ha contatti con implicazioni giuridiche.
È interessante, invece, mettere in relazione due sistemi di pensiero molto diversi tra loro, due concezioni di comunicazione linguistica così distanti da apparire, nel caso che considereremo, antitetiche.
Roland Barthes e Il grado zero della scrittura
“Hebért non iniziava mai un numero del « Père Duchene » senza infilarci dentro qualche « canchero! » e qualche « va’ in malora! » Queste imprecazioni non significavano niente, ma segnalavano. Che cosa? Tutta una situazione rivoluzionaria. Ecco dunque l’esempio di una scrittura la cui funzione non è più soltanto quella di comunicare o esprimere, ma anche d’imporre un al di là del linguaggio che è al tempo stesso la Storia e la posizione che ci si assume.”
Era il 1953 e l’allora trentottenne Roland Barthes pubblicava il libro “Il grado zero della scrittura” con il quale esprimeva le sue prime considerazioni di semiotica. Vi si teorizzava l’esistenza di una scrittura intesa come terza componente formale, in aggiunta alle tradizionali “lingua” e “stile”, dotata della qualità di essere partecipe della storia, di tradurre una semplice storia di segni in Letteratura.
Appartenente ad un mondo in cui il valore epistemologico di una considerazione è una condizione necessaria – diremmo “accademico” per semplicità – Barthes ha un’idea di Letteratura imprescindibile dalla Storia e, in quanto “discepolo” di Ferdinand de Saussure, dalla Linguistica.
“Che cos’è la scrittura?” titola il secondo capitolo del libro: è una riflessione storica, un modo di pensare la Letteratura che lo scrittore comunica volontariamente o involontariamente, che ci permette di sintetizzare il corso del tempo e ridurlo in epoche letterarie dalle peculiarità originali.
Due autori, pur avendo stili completamente diversi, possono avere la stessa Scrittura fino a quando agiscono all’interno dello stesso codice.
Conclusioni a confronto
“Rivendico il diritto di adoperare il verbo sabotare come pare e piace alla lingua italiana. Il suo impiego non è ristretto al significato di danneggiamento materiale, come pretendono i pubblici ministeri di questo caso […] Il verbo sabotare ha vasta applicazione in senso figurato e coincide con il significato di ostacolare.” (La parola contraria – Erri De Luca)
Questo estratto è forse il più significativo e si collega da sé al seguente virgolettato estrapolato dall’opera di Barthes che chiarisce il discorso sulla scrittura: “In qualsiasi forma letteraria vi è la scelta generale di un tono, di un ethos se si vuole, ed è appunto qui che lo scrittore si individualizza con chiarezza perché è qui che egli si impegna. Lingua e stile sono concetti antecedenti a qualsiasi problematica del linguaggio, lingua e stile sono il prodotto naturale del Tempo e dell’individuo biologico; ma l’identità formale dello scrittore prende veramente corpo solo al di fuori dell’instaurazione delle regole di grammatica e delle costanti dello stile”.
Semplificando il messaggio di Barthes nella più immediata dicotomia significante/significato, si ottiene: dati a priori i significanti, la Scrittura è la libera distribuzione dei significati.
Stabiliti questi termini, definire i caratteri della “parola contraria” sulla base di una scrittura scollegata dalla specificità dell’intonazione, mediante il ricorso ad una polisemia garantita passivamente, è portare avanti un processo di de-umanizzazione che ne uccide il valore letterario.
Ne consegue che questa dichiarazione di indipendenza ottiene l’effetto contrario: nel segno di Barthes, la parola contraria è la morte della scrittura.
Marco Terracciano