Per essere efficaci, i consigli di lettura adottano il linguaggio degli educatori. Pennac, Céline e il ruolo del lettore come parte attiva.
“Ho smesso di essere uno scrittore, nevvero, per diventare un cronista. Ho messo la mia pelle in gioco. Perché non dimenticate una cosa: la grande ispiratrice, è la morte. Se non mettete la vostra pelle sul tavolo non avrete niente. Uno deve pagare! Quello che è fatto senza pagare, sa di gratuito, puzza di gratuito. Allora, avete scrittori gratuiti. Al giorno d’oggi ci sono solo scrittori gratuiti.”
(Louis Pauwels intervista Louis Ferdinand Céline, Meudon, 1959)
Diritti: impostazione e metodo
“In fatto di lettura, noi “lettori” ci accordiamo tutti i diritti, a cominciare da quelli negati ai giovani che affermiamo di voler iniziare alla lettura.
1) Il diritto di non leggere
2) Il diritto di saltare le pagine
3) Il diritto di non finire il libro.
4) Il diritto di rileggere.
5) Il diritto di leggere qualsiasi cosa.
6) Il diritto al bovarismo.
7) Il diritto di leggere ovunque.
8) Il diritto di spizzicare.
9) Il diritto di leggere a voce alta.
10) Il diritto di tacere.”
(Come un romanzo – Daniel Pennac)
Siamo al punto due. Considereremo il secondo diritto imperscrittibile per acquisire coscienza di un dovere inderogabile.
Quello di Pennac è il linguaggio dei concetti immediati, non semplici, ma immediati. Esprimersi per concetti immediatamente assimilabili comporta un certo risparmio di tensione psichica da parte del lettore e un processo di scarico identificabile forse nel valore psicologico del “motto di spirito” di marca freudiana. I dieci diritti del lettore sono espressi con l’autoritaria leggerezza tipica degli educatori, o meglio con l’autorità leggera e velatamente antidemocratica di un atto di comunicazione verticale. Per chiarire: il lettore di “Come un romanzo” è sempre alunno, mai collega:
“Ho saltato delle pagine insomma.
E tutti i ragazzini dovrebbero fare altrettanto.
In questo modo potrebbero buttarsi prestissimo su tutte le meraviglie ritenute inaccessibili per la loro età.
Se hanno voglia di leggere Moby Dick ma si scoraggiano di fronte alle digressioni di Melville su materiali e tecniche della caccia alla balena, che non rinuncino alla lettura, ma saltino, saltino quelle pagine, per inseguire Achab senza curarsi del resto, come lui insegue la sua bianca ragione di vivere e di morire.”
(“Come un romanzo”- Daniel Pennac)
Ciò che scrive è certamente un utile espediente pedagogico per incentivare il gusto del classico e guardarlo con sospetto tradirebbe una lettura viziata dal timore della minorità per cui, sebbene l’analisi sia volta a sconfessare in parte la tesi proposta, non sarà la sintesi di chi è debitore di una certa insofferenza, ma il tentativo di utilizzare il linguaggio di cui sopra per osservare con lo sguardo dell’educatore.
Doveri: l’importanza della predisposizione
Se mai vi si dovesse presentare l’opportunità di rigirarvi fra le mani “Viaggio al termine della notte” di Louis Ferdinand Céline e qualora sia vostra reale intenzione comprendere l’opera nella sua singolarità stilistica e tematica, procedete nel più elementare dei modi: leggetelo senza tralasciare una e una sola parola. Non è strettamente necessario che voi leggiate con accuratezza ogni sillaba di un testo la cui prosa fa di tutto per trascinarvi nel morboso, ossessivo e claudicante vagabondare del suo autore, ma è importante che assorbiate tutte le sue gocce di sudore.
Eppure Pennac parla di ragazzini, nessuno si sognerebbe di consigliare un romanzo come il “Voyage” ad un ragazzino, pur concedendogli il diritto di saltare delle pagine, per cui è chiaro che la definizione stabilisce dei parametri precisi nella sua formulazione.
Il viaggio di Bardamu, con ogni probabilità, non rientra in quei parametri.
Continua:
“E poi, anche una volta “grandi”, e anche se ci ripugna ammetterlo, ci capita ancora di “saltare delle pagine”, per ragioni che riguardano soltanto noi e il libro che stiamo leggendo.”
Eccola qui l’estensione che ci permette di portare avanti il discorso. Non c’era bisogno di scomodare un pedagogo per provare che buona parte dei lettori, “piccoli” o “grandi” che siano, spesso evitano una descrizione eccessivamente pedante, una digressione tecnica o addirittura un intero capitolo posto come intermezzo per accrescere il climax della narrazione, ma è nella conclusione che il cerchio si chiude e la definizione acquista la qualità che la rende originale:
“Ci può anche succedere di vietarcelo categoricamente, e leggiamo tutto fino all’ultima parola, osservando che qui l’autore tira un po’ per le lunghe, lì si concede un virtuosismo abbastanza gratuito, in quel punto cade nella ripetizione, e in quell’altro nell’idiozia. Ma qualsiasi cosa diciamo, la caparbia noia che imponiamo a noi stessi non rientra nell’ambito del dovere, è una categoria del nostro piacere di lettori.”
Categoria del nostro piacere di lettori. Ci imponiamo la “caparbia noia” di leggere il tutto solo per provarne ulteriore gusto, dacché diamo per scontato che il nostro sacrosanto diritto di passare oltre possa tenderci il braccio e salvarci quando veramente ne abbiamo fin sopra i capelli.
Ed è qui che Céline agisce come il più classico degli usurpatori. Sembrerà paradossale, ma proprio la sconnessione di uno stile che, mai come nessun altro, è riuscito a sdoganare i puntini sospensivi, vi impone il dovere di rinunciare ad uno dei principali diritti del lettore.
La prosa “celiniana” deve ipnotizzarvi, addirittura infastidirvi prima di scuotervi così intensamente da non farvi desiderare altro che inabissarvi ancora nello squallore soltanto per riemergerne una volta di più.
Solo attraverso la dedizione più completa alla volontà di comprensione di un’opera così ostica e sopra le righe è possibile giungere, passo dopo passo dopo passo, ad una piena partecipazione emotiva.
Educare se stessi alla corretta predisposizione è il modo migliore per ammortizzare le turbolenze.
Prepararsi al decollo.
Marco Terracciano