Non è un caso se, nella famosa abbazia, l’ambone di Cava de’ Tirreni sia da tempo oggetto di studi da parte di autorevoli storici dell’arte di tutto il mondo.
Prima di tutto, occorre chiarire… cos’è un ambone? L’ambone è una tribuna, rialzata di alcuni gradini, con parapetto spesso arricchito di sculture o mosaici, che nelle chiese cristiane. Nelle basiliche paleocristiane e poi bizantine e romaniche, è posta all’interno del recinto del coro, talvolta in numero di due, ai lati del presbiterio, per servire alle allocuzioni, alle letture e ai canti liturgici del solista o diacono. Il termine, già riservato al linguaggio tecnico degli storici dell’arte, è ricomparso in uso con la rinnovata liturgia per indicare il podio con leggìo da cui viene proclamata la parola di Dio nella parte della messa detta appunto «liturgia della parola».
Il termine “ambone” indica il “luogo elevato” (deriva infatti dal verbo greco anabàinein che significa salire) da cui si proclamano i testi biblici durante le liturgie. Gli amboni furono costruiti proprio così: come luoghi alti su cui bisognava salire. Nella celebrazione della messa l’altare e l’ambone segnano – attraverso una duplice dimensione spaziale – i due poli celebrativi comunemente noti come liturgia della parola e liturgia eucaristica. La riforma liturgica ha riportato alla luce l’ambone, mettendo in evidenza tutta l’importanza teologica di ‘luogo della Parola’. L’ambone è dunque un luogo, uno spazio, non un oggetto della chiesa. Tutti i documenti dopo la riforma liturgica tendono a ribadire questo concetto dando disposizioni molto chiare al riguardo. L’ambone era di frequente collegato al recinto della schola cantorum. Aveva sempre accanto a sé il “cero pasquale”, necessario per alcune determinate funzioni.
Cava de’ Tirreni è sempre stato un centro di particolare importanza economica e culturale nell’area salernitana, grazie alla sua posizione e alle attività esercitate da sempre nel suo territorio (settore tessile, dell’abbigliamento, del pellame, poligrafico, del mobile, del tabacco, meccanico, dei manufatti per l’edilizia e della ceramica artistica). In questa particolare floridezza ebbe un ruolo primario la presenza della grande Abbazia Benedettina, dedicata alla SS. Trinità.
Il fondatore fu Sant’Alferio, nobile salernitano, che –prima di indossare il saio– era consigliere di Guaimario III, principe di Salerno. L’abbazia si è arricchita di molte opere d’arte di epoche diverse: edifici, affreschi, mosaici, sarcofagi, sculture, quadri, codici miniati e oggetti preziosi. In particolare: l’ambone cosmatesco del XII secolo.
L’ambone di Cava sorge nell’ area presbiteriale della chiesa benedettina. Esso è a pianta rettangolare e costituisce uno dei modelli di arredo, sorretto da quattro colonne dotate di protomi leonine. Le due colonne anteriori sono mosaicate, mentre le altre due sono lisce; tutte e quattro sono tortili, ma tre hanno la vite che scende da destra a sinistra, mentre una delle due anteriori scende da sinistra a destra, identificando così l’evangelista Giovanni. In tal modo si comprende che l’altra colonna mosaicata è Matteo.
In chiave pasquale possiamo anche leggere il simbolo dell’aquila, che spesso si trova sul parapetto dell’ambone quale leggio per la lettura del Vangelo: il simbolo di Giovanni fa da costante richiamo alla resurrezione, poichè a lui è stato concesso il privilegio di essere, tra gli apostoli, il primo a constatare il grande mistero. Il marmo bianco utilizzato nella realizzazione dell’animale segna un netto distacco dal resto dell’opera realizzata in pietra. Il bianco del marmo è attraversato da venature che accentuano la plasticità del corpo. Alcuni elementi, come gli artigli che reggono il rotulo, portano a concludere per l’attribuzione allo stesso scultore che anche in questo caso opera secondo la massima linearità. Per questo rinuncia alla definizione del piumaggio, se non lungo il bordo delle ali, e predilige la liscia compattezza del corpo riducendolo ad un solido geometrico. Nell’ambone di Cava ne risulta una figura allungata con zampe stirate e collo teso terminante in un rostro sporgente. Gli artigli dell’aquila stringono una targa con la scritta: “in principio erat verbum” che è l’incipit del vangelo di Giovanni.
Entrando nella chiesa si rimane stupefatti. Essa è uno scrigno prezioso in cui capolavori senza tempo reiterano da secoli il ruolo che assunse l’Abbazia nei millenni.
Serena Raimondi