Il terremoto Punk di fine anni ’70 aveva spazzato completamente il vecchio modo di fare musica, decretando la fine, o la crisi, di alcuni generi come l’hard ‘n’ heavy e il prog. Finita la sbornia anarchica, però, il Punk partorì la New Wave, la sua versione nichilista e rassegnata, dove la rabbia dei Sex Pistols lasciava spazio a lamenti gutturali e suoni freddi ed elettronici. Mentre gruppi statunitensi come i Television e i Pere Ubu facevano ancora da ponte tra il Punk ’70s e la musica anni ’80, in terra inglese nacquero alcuni gruppi che ereditarono l’estetica lugubre, triste e malinconica dei Black Sabbath, dando il via ad una vera e propria “onda dark“, da cui il nome di Dark Wave.
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Dark Wave: un’introduzione
Il fenomeno Dark Wave è chiamato anche, per le sue origini inglesi, Gothic Rock, musica gotica, una vera e propria deriva romantica, nel senso ottocentesco del termine, e goticheggiante dello spirito Punk. L’energia anarchica viene totalmente abbandonata a favore di un intimismo di stampo decadente da parte di band nate in quelle che allora erano periferie dello scenario musicale mondiale, come la città industriale di Manchester, da allora fecondo centro per la musica underground.
Alcuni gruppi rientrano nell’orbita Dark di striscio, come i Depeche Mode, nati come gruppo synthpop, con canzoni pop come “Just can’t get Enough“, che abbracceranno la Dark Wave con Black Celebration del 1986, l’apice della loro carriera, e conserveranno un’attitudine più “oscura” anche in album successivi, come Violator (1990). I Jesus and Mary Chain, invece, partiranno dalla Dark Wave per porre le basi di un altro movimento underground britannico, lo Shoegaze, in Psychocandy (1985).
Il quartetto imprescindibile da cui partire per introdurre la Dark Wave è formato invece da Joy Division, The Cure, Bauhaus e Siouxsie & The Banshees.
Il gruppo capitanato da Siouxsie Sioux è inizialmente una vera e propria punk band, comprendente, alla batteria, addirittura Sid Vicious, ex Sex Pistols. Siouxsie Sioux, voce femminile, incarnava lo stile Punk già dal suo abbigliamento, comprendente elementi sado-maso e una svastica sul braccio. La band, con successivi cambi di formazione, che vedranno l’aggiunta addirittura di Robert Smith dei Cure, si sposterà verso il Dark, partorendo l’album Juju (1981). Fusione tra il Glam e il Dark sono invece i Bauhaus, il cui maggior successo è In the Flat Field (1980).
I gruppi più noti dell’ondata Dark sono però, senza alcun dubbio, Joy Division e The Cure.
Ian Curtis: il poeta maledetto dei Joy Division
La figura che meglio esemplifica lo spirito della Dark Wave, nell’espressione artistica come nella sua stessa esistenza, è senza dubbio Ian Curtis, il frontman dei Joy Division.
L’idea di formare una band lo fulminò durante un concerto dei Sex Pistols a Manchester, città natale dei Joy Division, il 20 luglio 1976. L’anno successivo nascono così i Warsaw, quartetto che deve il suo nome ad una canzone contenuta in Low, album del 1977 di David Bowie, Warszawa, che anticipa le atmosfere cupe e tenebrose della Dark Wave.
Nel 1978 il gruppo assume poi il suo nome definitivo: Joy Division. Il gruppo era caratterizzato da un suono cupo, derivato dall’incontro tra la voce baritonale di Ian Curtis e dall’incedere glaciale degli strumenti, derivato proprio dalla trilogia berlinese di Bowie, in cui le tastiere venivano utilizzate per creare atmosfere lugubre.
I testi dei Joy Division, a firma di Ian Curtis, esprimono un senso di disperazione, desolazione, apatia, spesso accompagnati da movenze sul palco che quasi sembravano mimare attacchi epilettici, di cui Ian Curtis effettivamente soffriva. Tra i suoi miti c’erano personaggi “maledetti” come Lou Reed e Jim Morrison, che influenzarono fortemente il cantato e la musica dei Joy Division.
Partendo da una sincera passione per lo spirito Punk, i Joy Division crearono un mix unico, facendo incontrare Kraftwerk, Doors e Velvet Underground, influenzando tutta la scena Dark successiva.
L’essenza dei Joy Division è riassunta in due soli album, Unknown Pleasures del 1979 e Closer del 1980, tra le vette più alte dell’intera storia del rock. New Dawn Fades, contenuto in Unknown Pleasures, è forse l’apoteosi del progetto Joy Division, mentre il singolo più famoso, Love Will Tear Us Apart, non è contenuto in nessuno dei due album e fu pubblicato postumo.
Proprio alla vigilia di un tour negli States che avrebbe consacrato i Joy Division, infatti, Ian Curtis, depresso oltre che epilettico, il 18 maggio 1980 si impicca nella cucina di casa. Si tratta della fine dei Joy Division, che rinascono come band synthpop col nome di New Order, destinati a scrivere nuove pagine nella storia del rock.
Ian Curtis entra quindi a far parte di quel novero di figure leggendarie del rock morte anzitempo, e la sua aura leggendaria continua ad aumentare, mentre le magliette dei Joy Division si stanno diffondendo in ambienti alieni dall’estetica Dark.
Robert Smith: il goth per eccellenza
È sempre in una cittadina periferica inglese, Crawley, nel Sussex, che si formano i Cure, il cui frontman, Robert Smith, ha numerosi punti di contatto con Ian Curtis. Come lui coltiva una passione per la letteratura ed è lui il songwriter del gruppo, partorendo testi ugualmente malinconici, disperati, malinconici. Anche Smith, come Curtis, è attratto dallo spirito Punk, ma se ne allontanerà abbracciando uno stile più melodico. La sensibilità di Smith non si accompagna, però, ad un senso di autodistruzione come Curtis.
Boys Don’t Cry, del 1979, è il primo successo dei Cure, che raggiungono la maturità artistica con l’album Pornography, del 1982.
Il resto degli anni ’80 vede un’evoluzione del look di Smith, che diventerà una vera e propria icona dello stile Dark Wave, influenzando il mondo del cinema: il personaggio di Edward mani di forbice, così come lo Sean Penn di This Must Be The Place, discendono direttamente dalla figura di Smith. Il suo aspetto, insieme al grande successo commerciale della New Wave nei primi anni ’80, consacrano i Cure come uno dei gruppi simbolo degli Eighties, fino alla pubblicazione del loro capolavoro, Disintegration, del 1989.
Davide Esposito
Bibliografia
- Up From the Underground, in E. Guaitamacchi, Storia del Rock, Hoepli 2014