Oggi la gestualità sembra attrarre attenzione più che mai perché c’è una nuova tendenza a riconoscere il modo in cui percepiamo le cose intorno a noi ed è all’ombra del Vesuvio che la comunicazione con i gesti assume le forme più eclatanti e bizzarre, fino a sfiorare l’arte!
La gestualità napoletana nell’arte
Adam Kendon definisce i gesti come “azioni visibili utilizzate allo scopo di dire qualcosa”. La gestualità è ritenuta uno dei tratti caratteristici del popolo napoletano e tale reputazione risale molto indietro nel tempo. Dilwyn Knox ha citato un manoscritto del cinquecento, scritto in Germania, che attribuisce agli italiani del sud una grande propensione alla gestualità. Dopo la sconfitta di Napoleone e la restaurazione di Re Ferdinando sul trono di Napoli nel 1816, i turisti provenienti dalla Gran Bretagna e dalla Germania che venivano a Napoli erano affascinati dai costumi dei napoletani, che cominciarono ad essere descritti profusamente nel sempre crescente numero di stampe che venivano pubblicate, specialmente a beneficio dei visitatori stranieri. Una di queste stampe del 1825, di Saverio della Gatta, fu intitolata “Muti parlanti napoletani” (Fig. 1).
Successivamente, un noto antiquario ed archeologo, Andrea Vincenzo de Jorio, pubblicò nel 1832 un’opera intitolata “La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano”. De Jorio fu un personaggio insolito tra gli antiquari del suo tempo, in quanto credeva che gli usi e i costumi dei napoletani a lui contemporanei potessero essere studiati come fonte per comprendere la vita quotidiana degli antichi abitanti di Napoli. Egli infatti credeva che la gente comune napoletana conservasse nelle credenze e nel modo d’esprimersi molte delle caratteristiche dei loro antenati greci. Consideriamo brevemente un esempio che ci interessa perché mostra come de Jorio incorporò in questi quadri figure derivanti dagli affreschi antichi per dimostrare che queste figure potevano adattarsi perfettamente nelle scene di vita contemporanea a Napoli. In questo esempio vediamo una sposa portata a casa di suo marito per la prima volta (Fig. 2).
La sposa, languida e pronta al pianto, è accompagnata dalla sua Paraninfa che commenta col gesto la bellezza della sposa alla suocera. Costei la saluta con due gesti: uno in cui alza un po’ la gonna distaccandola dalla pancia per indicare il suo augurio per una futura gravidanza ed un altro in cui dirige la mano in fica verso la sposa come gesto di benedizione e augurio di fertilità. Dietro di lei, vicino alla tavola, il marito invita il suo compare a bere. Questi, però, risponde col gesto che preferirebbe qualcosa da mangiare. Infine, si guardi la figura all’estrema sinistra del quadro. Lui indica la sposa rivolgendosi a qualcuno che non si vede nel quadro e allo stesso tempo dirige verso la sposa la mano cornuta: è però importante notare che lo fa tenendo la mano in modo che il palmo sia in posizione verticale. L’uso di questo gesto con questo orientamento ha una funzione protettiva, serve ad allontanare il malocchio.
Il gesto in cui il pollice e l’indice sono stesi e tenuti ad angolo retto e ruotati avanti e indietro davanti alla bocca aperta era usato per indicare la mancanza di cibo e forse più genericamente la mancanza di un bene necessario (Fig. 3). Oggi questo gesto non si usa più; ce n’è tuttavia uno, che forse deriva da questo e che è molto comune: la mano in questa stessa posizione che ruota rapidamente avanti e indietro davanti al parlante è un gesto che significa “niente” (Fig. 4).
I gesti nel racconto napoletano
Quando esaminiamo come il napoletano usa i gesti in relazione al discorso verbale troviamo che tende a compiere diversi gesti in relazione ad ogni parte significativa delle frasi del suo discorso, quasi come se mostrasse in gesti le diverse parti di ciò che sta dicendo. Nel momento in cui il parlante dice “Io sono stato uno di quei scugnizzi napoletani”, compie tre gesti che sono collegati a questa frase. Nel primo indica se stesso ed occorre quando dice “io sono stato” (Fig. 5); nel secondo mette la mano aperta col palmo verso il basso davanti a sé, per indicare una persona piccola, ed occorre quando dice “uno di quei” (Fig. 6); nel terzo alza la mano aperta all’altezza delle spalle e la muove all’indietro due volte ed occorre quando dice “scugnizzi napoletani” (Fig. 7).
Qui usa un gesto che fa riferimento a qualcosa che è accaduto molto tempo fa. Vediamo dunque che quando fa riferimento a se stesso, lo fa sia con le parole che con il gesto; quando si riferisce agli scugnizzi fa un gesto generalmente usato quando si indica un bambino, ed aggiunge, infine, un altro gesto che si riferisce al tempo passato: un’idea che non è espressa esplicitamente a parole, sebbene ciò sia implicita nel tempo verbale che ha adoperato.
In conclusione: la gestualità è parte integrante del passato e del presente napoletano. Non si tratta di un’abitudine “da cafoni”, ma di un modo per “dare vita” ai discorsi. L’arte del gesticolare è stata per secoli parte integrante del processo comunicativo tra esseri umani, fino all’introduzione della lingua unica.
Raffaela De Vivo
Bibliografia:
Adam Kendon, Il gesto e Napoli, traduzione di Maria Graziano, Napoli, 2005.
Sitografia:
http://www.portanapoli.com/Ita/Cultura/cu_gesti/ges_napoli.html