L’artista livornese, pittore dannato ricordato per la sua vita dissoluta e i ritratti delle meravigliose donne che amò, non trascorse tutta la sua carriera a Parigi; la capitale francese fu certamente il punto di approdo, la meta definitiva negli anni della cultura bohemiene, ma come ogni grande artista, anche Modigliani fece il suo “viaggio di istruzione” artistica lungo l’Italia delle bellezze e Napoli fu tra le mete raggiunte, non soltanto come luogo da visitare per appagare l’anima, ma anche per dare beneficio ad un corpo malandato sin dalla giovane età.
Bambino estremamente fragile già alla nascita, la febbre tifoidea, contratta a 14 anni, e la tubercolosi due anni dopo, costrinsero un Modigliani adolescente a trascorrere alcuni mesi a Capri e ad Amalfi. Sono proprio i primi anni del ‘900, da qui Modigliani salì verso Roma, frequentando poi corsi e atelier a Firenze e Venezia, prima di lasciare l’Italia.
A Napoli tra il 1901 e il 1902, come afferma la sorella in alcune lettere, Modigliani subisce l’influenza di Domenico Morelli, che invece soltanto un anno dopo, a Venezia, descrive con toni sprezzanti (forse un successivo diverbio con l’artista napoletano?).
La certezza di questa notizia non è data, ma quello che è evidente è che, oltre ad approfondire la scuola di pittura napoletana, negli anni in cui egli antepone la scultura alla pittura, a Napoli “incontra” colui che silenziosamente darà una forte impronta al suo stile: Tino di Camaino.
In Santa Chiara, in San Lorenzo, in San Domenico, in Donnaregina, Modigliani osserva e studia le maestose sepolture che l’artista medievale realizzò per i sovrani angioini di Napoli e che ispirarono sicuramente quella che sarà una prima ossessione del livornese: le Cariatidi, di cui realizzò alcuni disegni e sculture in serie e che rappresentano un caposaldo della sua arte. La fusione tra l’antichità dello scultore senese (sicuramente visto anche in Toscana) e la novità del contemporaneo Brancusi, diedero vita ad una delle più celebri sculture di Modigliani, la Cariatide del 1913. Le linee morbide e sinuose che caratterizzano i suoi disegni sono resi in maniera magistrale anche nella tridimensionalità scultorea.
Che Tino di Camaino, e più in generale la scultura, abbiano rappresentato un momento di riflessione davvero importante per Modigliani lo testimoniano anche le parole di Ortiz de Zarate, che a Venezia incontrò il giovane artista, il quale espresse “un desiderio ardente di diventare scultore. […] La sua vera aspirazione era di lavorare sulla pietra, desiderio che conservò tutta la vita…”
Tornato a Livorno, non a caso, si precipitò vicino Carrara, presso le cave del bellissimo marmo, ma ben presto arrivò la deriva pittorica, consacrata poi a Parigi, ed è anche facile intuire il perché: le polveri prodotte dalla scultura non dovevano certamente giovare ad un corpo che soffriva di così gravi problemi respiratori e l’influenza degli amici parigini, quasi tutti pittori, fece il resto.
Ma questo “ripiego” certamente non fu deleterio, vista la grande fama di cui godono oggi i suoi stupendi ritratti, sebbene sia stata una fama quasi del tutto postuma e d’oltralpe. Soltanto molti anni dopo Livorno gli avrebbe ridato la gloria che meritava, e sembra proprio una beffa che i falsi Modigliani ritrovati e spacciati come autentici dai più grandi critici d’arte italiani siano proprio delle statue. Ma questa è un’altra storia…
Fonti bibl.: Jeanne Modigliani, Modigliani, mio padre, 2005.
Antonella Pisano