Luca Marinelli: tre ruoli per ricordarci chi è

La qualità più bella della recitazione di Luca Marinelli è il come e il quanto lavora sul personaggio prima di comparire davanti alla macchina da presa. E nessuno potrebbe spiegare il suo processo di preparazione se non l’attore stesso, quando parla dello Zingaro (“Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti – 2016):

Ho rivisto “Il silenzio degli innocenti”, che è sempre stato una mia grande passione: Buffalo Bill è tra i miei villain preferiti. Gabriele [Mainetti] mi ha fatto leggere due fumetti americani sul Joker… Mi sono permeato di tutte queste suggestioni, mi sono immerso e quando sono riuscito mi sono asciugato: quel che mi è rimasto addosso l’ho dato al personaggio.

(Elle.it)

luca marinelli

Non lo si potrebbe dire meglio: il villain di Luca Marinelli, sotto l’accento romano, è un misto perfetto di stilemi rubati a moltissimi cattivi dislocati tra cinema e fumetti, tra Giappone e Stati Uniti; ma è indubbiamente “asciugato” da ogni tipo di suggestione. È un personaggio la cui rifinitura è terminata, è completato, non si lascia dietro sbavature, ma al contrario è saldo e forte guardato da ogni angolazione.

luca marinelli

È talmente memorabile, quest’ultimo ruolo, talmente divertente, malato, raccapricciante, assurdo e folle, che sarebbe troppo semplice parlarne qui (per quanto, d’altro canto, schiamazzare con il resto del pubblico, usciti dal cinema con la satolla allegria del dopo-bel-film, è piuttosto appagante). Quindi ecco, invece, i tre ruoli che, forse, possono riassumere meglio la carriera e la crescita di Luca Marinelli.

La solitudine dei numeri primi

(Saverio Costanzo – 2010)

luca marinelliAppena uscito dall’Accademia (2009), Luca Marinelli lavora al teatro; viene poi notato da Saverio Costanzo che lo vuole per il ruolo di Mattia in “La solitudine dei numeri primi”, pellicola poco autonoma perché inevitabilmente paragonata al libro (e nella maggior parte dei casi il paragone è a sfavore del film), confusionaria nei tempi, e con qualche aspetto positivo senza esitazione soffocato dalla pretenziosità del regista che vuol essere “visionario”.

Uno degli aspetti positivi è proprio Luca Marinelli: ancora forse un po’ ingessato, relegato nelle poche scene del Mattia adulto, e costretto a un ingrassamento forzato, inutile quanto modaiolo. Nonostante tutto questo, l’attore è evidentemente entrato nel personaggio con successo; e, benché giovane, ha da subito l’ottima capacità, nelle scene in cui gli è permesso, di raccontare la propria storia con la postura del corpo e con lo sguardo.

luca marinelli

Tutti i santi giorni (Paolo Virzì – 2012)

È sempre difficile capire cosa c’è di se stessi in un personaggio, ma sicuramente qualcosa c’è, perché [il personaggio] passa attraverso di noi [attori].

(LoSpettacolo)

Guido è un personaggio splendido, e splendida è allo stesso modo la sua relazione con Antonia: “Tutti i santi giorni” racconta di una parentesi nella vita di due trentenni che si preparano a “fare il salto”, a diventare genitori. luca marinelliC’è qualche siparietto divertente, qualche scena malinconica, ma è tutto condotto con pari dolcezza non verso il “come andrà a finire?”, ma verso il “perché sta succedendo?”: perché si vuole un figlio, per egoismo o per altruismo? Perché è necessario all’essere una coppia o all’essere adulti? È lui stesso il collante di una famiglia solida o ne è il frutto?

Guido è un cavaliere d’altri tempi, una razza in estinzione o addirittura mai esistita. E Luca Marinelli è come un filtro, permeabile ma di carattere: è totalmente pregno di una personalità che – con molte probabilità – è diversissima da lui; ed è gioiosamente al servizio di una sceneggiatura a cui dà una vita che più vitale non si può. Non annulla se stesso e non prevarica sul personaggio: ne è il passaggio verso la realtà.

Così come sarà lo Zingaro, Guido è un carattere tondo, concluso, che non si limita ad avere la storia e le peculiarità esposte in scena, ma lascia la certezza, in chi lo guarda, che c’è molto di più, che c’è “il resto”, cioè quello che – pur non mostrato – ne fa una persona a tutti gli effetti.

Non essere cattivo (Claudio Caligari – 2015)

L’ironia è dietro l’angolo: il ruolo immediatamente precedente a quello del cattivo di “Lo chiamavano Jeeg Robot” è in un film che si chiama “Non essere cattivo”. luca marinelliMa Cesare, il personaggio di Luca Marinelli, è un arabesco di tormenti, pigrizia, dolore, desiderio di amore e infantilismo; un’aggrovigliata profondità così immediatamente intuibile – ma troppo difficile per essere empatizzata – da non potersi stringere sotto la breve parolina “cattivo”.

Claudio Caligari porta uno spaccato di realtà degli anni ’90, una quotidianità cruda ma non feroce, annoiata della sua disperazione, che si trascina mestamente annaspando nel fango. E se Cesare è solo un figlio del suo tempo, Luca è ancora una volta il filtro che lascia passare la storia originaria senza deviazioni e forzature, ma, intensamente, completandola.

luca marinelli

Quella romanità, quel dolore di Cesare io lo capisco. È una romanità che il pubblico ama, quella di film come “La grande guerra”: ridi e alla fine hai un groppo in gola.

(Repubblica)

Chiara Orefice

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