Indice dell'articolo
Sulla scia di una lunga tradizione
Fassbinder, Despair e il tema del doppio: il regista tedesco non è stato né il primo né l’ultimo ad aver affrontato questo fortunato tema, di particolare successo nella letteratura e poi anche nel cinema e anche nelle altre arti. Il tema del sosia in realtà ha origini antichissime, lo si ritrova già in antichi miti e credenze religiose; in letteratura questo tema prenderà forma diverse volte, basti pensare ad opere come: l’Anfitrione; il Sosia; Uno, nessuno e centomila e lo stesso Disperazione di Nabokov, dal quale sarà tratto Despair. Nel cinema compaiono film sul doppio sin dal cinema muto, basti pensare a Il gabinetto del dottor Caligari o al capolavoro di Hitchock Psycho, fino ad opere più recenti come Il cigno nero e Fight club.
Con questo film il giovane Fassbinder, tra i principali esponenti del nuovo cinema tedesco, nutrì l’ambizione di realizzare un film che potesse donargli un meritato successo internazionale, visto che fin ad allora il suo nome era legato soprattutto ai circoli e ai festival cinematografici europei, dove veniva non poco acclamato. I presupposti per il successo c’erano tutti, infatti egli ebbe a disposizione un budget piuttosto elevato rispetto a quanto fosse stato abituato in passato, inoltre poteva contare su due nomi di caratura internazionale, entrambi britannici: stiamo parlando dell’attore Dirk Bogarde (Morte a Venezia, Il servo) e dello sceneggiatore e scrittore Tom Stoppard (Oscar alla sceneggiatura per Brazil). Invece il film fu tutt’altro che un successo, o perlomeno non ebbe il successo sperato: a Cannes non fu accolto benissimo e non ebbe nemmeno un successo mondiale, in Italia per esempio fu distribuito addirittura in ritardo. L’insuccesso fu una delusione per tutti e in special modo per Bogarde, che pare tenesse molto a questo film.
Despair, la trama
Hermann Hermann (Dirk Bogarde), produttore di cioccolata russo emigrato in Germania, sta attraversando una crisi di mezz’età, rendendolo vittima di una confusione con se stesso. La moglie (Andrea Ferreol), una donna bizzarra, considerata dal marito quasi un’imbecille, ha un amante, cioè un presunto cugino (Volker Spengler). Intanto, in una Germania stremata dalla crisi e dai debiti, la sua azienda è vicina al fallimento e intanto il nazionalsocialismo prepara la sua ascesa. Hermann decide così di assumere l’identità di un altro uomo, ovvero un vagabondo, Felix Weber (Klaus Lowitsch), che nella sua follia ritiene che abbia le sue stesse fattezze, credendo così di ricominciare da capo una nuova vita, abbandonando di fatto quella precedente. Tuttavia il tentativo di Hermann finisce per essere scoperto in poco tempo, complice anche il fatto che il suo presunto sosia non era poi così simile a lui.
La crisi d’identità individuale e collettiva
Despair, girato negli studi di Monaco di Baviera, è propriamente, come si è già detto, un film sullo sdoppiamento dell’identità, sul doppio, o il sosia; una tematica già affrontata da Fassbinder nel film Nessuna festa per la morte del cane di Satana. In questo caso il nostro Hermann, cerca una nuova identità in un’altra persona, arrivando ad ucciderla quando questa indosserà i suoi vestiti, compiendo quindi una sorta di suicidio-omicidio, dal momento che nello stesso istante dell’omicidio egli è già Felix, mentre il corpo di Felix ha assunto l’identità di Hermann Hermann (da notare la ripetizione del nome usata anche per Humbert Humbert, il protagonista di Lolita), che ormai è morto. La scissione della personalità di Hermann è ben visibile durante il film, per esempio nelle scene in cui cerca di fare l’amore con la moglie e allo stesso tempo guarda la scena dalla sedia.
Ma il dramma rappresentato in Despair, ovvero questo senso di confusione e di crisi che caratterizza Hermann, non fa che riflettere la situazione della Germania nel 1930, ormai prossima al tracollo. In questo clima il nazionalsocialismo è pronto a prendere il sopravvento, la Germania si prepara ad una grandissima trasformazione, abbracciando una nuova identità; c’è dunque uno stretto legame tra la crisi d’identità interna, cioè quella di Hermann, con quella della società, giungendo di fatto, metaforicamente, allo stesso destino. Dunque l’atteggiamento apolitico e passivo di Hermann di fronte alla politica, nasconde appunto un legame nascosto, che va oltre l’evidente e manifesta realtà oggettiva.
Mentre nel libro si parla in prima persona e non si capisce quale sia la distanza tra Felix e Hermann, nel film si vede chiaramente che non si somigliano molto. Su questo punto ci fu un disaccordo tra Stoppard, che voleva che Bogarde interpretasse tutti e due i personaggi e Fassbinder, che invece preferì due attori differenti. In questo modo egli può sottolineare la follia di Hermann, che non è la follia di un uomo incapace di riconoscere che il suo presunto sosia in realtà non gli è così somigliante, ma è una follia interna, in cui egli si è rifugiato per proteggersi, una sorta di utopia artistica, perché di fatto egli è come se cercasse di immedesimarsi in un film, in un attore capace di dominare la realtà interna: egli crede fino all’ultimo di poter mettere in scena una vita come se fosse in un’opera d’arte, ma il suo tentativo è condannato fin dall’inizio al fallimento.
Esteticamente uno dei migliori film di Fassbinder, in un continuo gioco di specchi e vetrate labirintiche che confondo le visione del protagonista con la realtà. La cinepresa effettua delle labirintiche carrellate, mostrando che ogni tentativo di fuga di Hermann è destinato ad arrivare ad un cul de sac. Esteticamente raffinato e tematicamente interessante, Despair può essere considerato uno dei più importanti lavori di Fassbinder, sarebbe giusto se la critica intera rivalutasse quest’opera, che si va aggiungere ai grandi capolavori incentrati sul tema del doppio e a tutti i film che hanno in modo diverso ritratto un affresco sociale della Germana pre-nazista.
Roberto Carli
Fonti
- Rainer Werner Fassbinder, Despair, a cura di Stefano Curti ( Rarovideo arte cinema visioni, Gianluca & Stefano Curti editori)