Il barone rampante di Italo Calvino: il commento

Tra i tanti romanzi memorabili di Italo Calvino, il Barone Rampante seduce e affascina particolarmente quanti si accingono alla lettura. Questo perché nella vicenda entrano man mano vigorosi riferimenti storici, sapientemente calibrati nell’impostazione che ricorda quella di un romanzo di formazione, che per definizione permette al lettore di identificarsi in quel giovane da subito dipinto come unico che è Cosimo Piovasco di Rondò. Tuttavia siamo di fronte né a un romanzo storico, né a un Bildungsroman, e questa complessità del genere non fa altro che alimentarne il piacere del testo.

Tuttavia, sebbene questo piacere letterario non autorizzi ad individuare un messaggio predefinito all’origine della scrittura, esistono alcuni elementi che avvicinano la narrazione agli stilemi del conte philosophique, in particolare evidenziando, con analogia temporale, la figura dell‘intellettuale illuminista attraverso una sottile metafora.

Gli elementi alla base del testo

Non potendo esaurire in una descrizione tutte le vicende narrate ne Il Barone Rampante, una brevissima citazione ne riassume l’immagine di base, pronunciata dal baroncino all’indirizzo del padre, dopo esser sfuggito all’ennesimo pasto sgradito:

– Ti farò vedere io, appena scendi!
-E io non scenderò mai più.
E mantenne la parola.

il barone rampante

Il barone passerà tutta la sua vita sugli alberi, rinvigorendo il suo proposito sempre di più e attraverso un’assimilazione attiva della sua scelta non perdendosi nulla di quanto la vita su terra può offrire.

L’uomo rampante descritto da Calvino si trova a fare i conti con un piano del reale elevato di diversi metri rispetto a quello comune, per sua propria scelta, e ne trae le dovute conclusioni nel suo diventare un uomo, partendo da una fanciullezza alquanto inquieta.

Di fatto, l’uomo di Calvino assume man mano i tratti di quello che doveva essere l’individuo ideale per lo zeitgeist in cui la storia si situa. Il punto di partenza è dato dagli ultimi trent’anni del ‘700: Cosimo appartiene a una famiglia nobile e suo padre, il barone Arminio, per tutta la sua vita lo si vede lottare per il riconoscimento del titolo di Duca, segno evidente del suo anacronismo proprio nell’epoca delle rivoluzioni.

Tuttavia per uno scherzo del destino Cosimo protende naturalmente ad abbracciare quei principi che giravano nell’aria all’epoca, e che sono inequivocabilmente quelli dell’Illuminismo: come è possibile dunque conciliare la vita sugli alberi e la tendenza ad essere un uomo onesto, razionale, buon cittadino, padrone di sé e delle forze avverse tramite l’esercizio del raziocinio?

Il barone rampante e il mondo di sotto

Cosimo entra in contatto coi filosofi dei Lumi grazie alla lettura. Una lettura faticosa e stentata, a causa della difficoltà sugli alberi a reperire e conservare i testi, ma che si traduce in amore per lo studio, infine nel connubio tra studi letterari e scientifici che gli illuministi auspicavano. Così, dopo averlo bistrattato durante tutta la sua infanzia sul “suolo paterno”, il giovane va spontaneamente alla ricerca dell’anziano precettore che il padre gli aveva assegnato:

Adesso era lui che andava a cercare l’Abate Fauchelafleur perché gli facesse lezione, perché gli spiegasse Tacito e Ovidio e i corpi celesti e le leggi della chimica

Negli scaffali installati sui tronchi Cosimo conserva progressivamente i volumi dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert, da cui il ragazzo poteva trarre nozioni che lo “toccavano” da vicino: botanica, coltivazione, arboricoltura, ingegneria idraulica.
La metamorfosi di Cosimo verso un uomo capace di apportare benefici alla società è quasi completa:

Lo prese il bisogno di far qualcosa di utile al suo prossimo. […] Imparò l’arte di potare gli alberi, e offriva la sua opera ai coltivatori di frutteti, l’inverno

Alla pari delle peripezie di un personaggio di Voltaire, Cosimo deve vedersela con l’Inquisizione: definito un volteriano dal gesuita spagnolo don Sulpicio, con cui si batte a duello. Le parole con cui Cosimo infiamma lo scontro sottolineano la sua consapevole adesione allo spirito dei Lumi:

-Guardia a voi, Padre! Ci sono anche altre braccia, che servono la ragione e la giustizia!
Il Gesuita dal mantello trasse una spada sguainata.
-Barone di Rondò, la vostra famiglia già da tempo ha un conto in sospeso col mio Ordine!

il barone rampante

Dobbiamo a Leonardo Sciascia l’individuazione della metafora dell’uomo rampante sugli alberi come modello dell’uomo illuminista. Per lui Cosimo Piovasco è “una sentinella della ragione, vigile e scattante contro tutti i mostri della natura e della storia”.

L’uomo illuminista procede così, sugli alberi: opera nella società, la osserva, ne apporta benefici, ma il suo sguardo può diventare imparziale e giusto solo quando intercorre una certa distanza tra la persona e l’uomo, come del resto si legge per bocca del fratello Biagio, narratore dell’intera vicenda:

-Mio fratello sostiene, -risposi, – che chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza, – e il Voltaire apprezzò molto la risposta

In questo senso Calvino ha voluto regalarci un personaggio immortale, che si iscrive pienamente nel gran circolo delle idee che ha cambiato per sempre la storia del pensiero occidentale, foriero di pensieri di giustizia, uguaglianza sociale, libertà. La stessa libertà che ha spinto un ragazzino a rinunciare ad alcune cose, per scoprire il pregio di guardare tutto dall’alto.

Daniele Laino

Bibliografia:
Calvino I., Il barone rampante, Mondadori, 1993.

  1. Pag. 14.
  2.  Pag. 110.
  3.  Pag. 114.
  4.  Pag. 151.
  5. Sciascia L., Recensione a Italo Calvino, Il barone rampante, “Il Ponte”, 12, dicembre 1957, pp. 1880-1882.
  6.  Pag. 163.