Palomar di Italo Calvino è un libro che raccoglie una serie di prose che l’autore iniziò a pubblicare dal 1975 sul “Corriere della sera” e poi su “Repubblica”.
I testi selezionati ed ordinati attentamente da Calvino vengono pubblicati in questo unico volume nel 1983 e ammontano a 27 prose divise in 3 parti, ognuno delle quali contiene 3 capitoli che a loro volta contengono altri 3 sotto capitoli ognuno. Le cifre 1, 2, 3, che numerano i titoli dell’indice, siano esse in prima, seconda o terza posizione, non hanno solo un valore ordinale ma corrispondono a tre aree tematiche, a tre tipi di esperienze e di interrogazione che, proporzionati in varia misura, sono presenti in ogni parte del libro.
Gli 1 corrispondono generalmente ad esperienze visive: il testo si configura come una descrizione. Nei 2 sono presenti elementi antropologici, culturali in senso lato, e l’esperienza coinvolge, oltre ai dati visivi, anche il linguaggio, i significati, i simboli. Il testo qui tende si sviluppa in un racconto. I 3 riguardano le esperienze di tipo più speculativo, riguardanti il cosmo, il tempo, l’infinito, i rapporti tra l’io e il mondo, le dimensioni mentali. Dall’ambito della descrizione e del racconto si passa a quello della meditazione. L’indice ripartisce queste proporzioni secondo un modello combinatorio estremamente regolare e compiuto rispondendo così innanzitutto al piacere dell’autore per il gioco matematico. Che i testi riescano concretamente a seguire con giudizio queste regole di contenuto è tutto da dimostrare. Non poche difficoltà ha incontrato l’autore nella sistemazione del definitivo Palomar di quello che vuole essere enciclopedia, “discorso sul metodo” o romanzo, soprattutto tenendo presente che le idee di Calvino erano diverse dalla realizzazione dell’opera:
“La prima idea era stata di fare due personaggi: il signor Palomar e il signor Mohole. Il nome del primo viene da Mount Palomar, il famoso osservatorio astronomico californiano. Il nome del secondo è quello di un progetto di trivellazione della crosta terrestre che se venisse realizzato porterebbe a profondità mai raggiunte nelle viscere della terra. I due personaggi avrebbero dovuto tendere, Palomar verso l’alto, il fuori, i multiformi aspetti dell’universo, Mohole verso il basso, l’oscuro, gli abissi interiori. Mi proponevo di scrivere dei dialoghi basati sul contrasto tra i due personaggi, uno che vede i fatti minimi della vita quotidiana in una prospettiva cosmica, l’altro che si preoccupa solo di scoprire cosa c’è sotto e dice solo verità sgradevoli…
Solo alla fine ho capito che di Mohole non c’era alcun bisogno perché Palomar era anche Mohole: la parte di sé oscura e disincantata che questo personaggio generalmente ben disposto si portava dentro non aveva alcun bisogno di essere esteriorizzata in un personaggio a sé…” (Italo Calvino 1983)
Palomar, la conoscenza e il silenzio
Palomar è il nome del protagonista che dà il titolo al libro e di cui si seguono, attraverso il racconto di una terza persona esterna, le riflessioni e le osservazioni quotidiane. Questo nome contiene molteplici allusioni: oltre all’associazione mentale con la parola “palombaro” che vuole Palomar “come un palombaro che s’immerge nella superficie“, il riferimento più concreto è il Monte Palomar, situato nella Contea di San Diego, circa 150 km a sud-est di Los Angeles, su cui è ubicato il celebre osservatorio astronomico, indicando in tal modo l’attitudine del signor Palomar di osservatore parziale e del minimo. Palomar ha una moglie ed una figlia, girovaga per il mondo ma non ha molta familiarità con la specie umana, non sembra avere molti conoscenti e ha il vizio di non parlare; è insomma, un taciturno e un solitario, più portato alla riflessione che allo scambio, partecipa alla vita in maniera distaccata: con i suoi gesti, la sua silenziosa riservatezza, il suo continuo interrogarsi sui limiti della propria posizione e della propria esperienza si realizza un emblema, figura esemplare ed ironica dell’intellettuale che può conoscere solo collocandosi ai margini della realtà. Le tre parti in cui si struttura il libro vedono Palomar “in vacanza”, “in città” e immerso nei suoi “silenzi”. Illustrando un nuovo metodo di approccio col mondo il lettore è condotto per mano dalla non-azione del protagonista che forse non è il migliore degli osservatori ma ha sicuramente molta voglia di farlo. Calvino, attraverso le osservazioni più forzate fino al più piccolo particolare, conduce il lettore verso aspetti diversi dell’esistenza: dalla più banale delle cose, come il riflesso del sole sul mare, sino ai più affascinanti misteri quali le iscrizioni tolteche a Tula in Messico.
“…volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso.”
In un’epoca in cui nella nostra vita la precarietà, l’incertezza, la difficoltà di comunicare, l’angoscia del futuro hanno ormai raggiunto il culmine, e tutti cerchiamo delle verità a cui aggrapparci, anche Palomar, solitario ed incapace di rapportarsi agli altri esseri umani, tenta un giorno di reagire a questa condizione odierna dell’esistenza umana facendo dell’osservazione il metodo di conoscenza e la “cura” contro il senso di smarrimento nell’infinito universo. Ogni volta che Palomar sembra sul punto di raggiungere un barlume di conoscenza di ciò che sta descrivendo, nota ulteriori particolari che a causa della loro variabilità, rimettono in discussione tutte le conclusioni a cui è appena giunto. Pur comprendendo, dunque, che non potrà trovare una spiegazione del significato del mondo e di sé, come un Don Chisciotte, continua ad esplorare il mondo circostante perché sa che nelle sue sconfitte consiste la sua vittoria: la saggezza resta irraggiungibile, ma vale la pena di cercare di raggiungerla. A proposito di quest’opera, lo stesso Calvino ha scritto:
“Rileggendo il tutto, m’accorgo che la storia di Palomar si può riassumere in due frasi: Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato.” (Italo Calvino 1983)
Il nome come si è detto, è ispirato dall’osservatorio astronomico di Monte Palomar, dove è collocato il famoso telescopio Hale, che diventa una metafora calviniana per il bisogno di conoscenza insito nell’uomo. Calvino ci presenta, quindi, una riflessione pessimistica sulla conoscenza umana o quanto meno sulla precarietà e provvisorietà dei risultati da essa raggiunti. Si assiste qui a una parziale rinuncia, venata di malinconica consapevolezza, a trovare una spiegazione all’esistenza e alla realtà; Calvino sembra abbandonare le riflessioni scientifiche e narratologiche, per mostrare la vanità stessa del sapere. Palomar si realizza quasi come una sorta di alter-ego di Calvino, nel corso dell’opera si allontana dalla realtà concreta per immergersi in pensieri e riflessioni sul “rapporto tra l’io e il mondo e le dimensioni della mente”: il silenzio si fa protagonista e strumento di conoscenza proprio perché tra i vari problemi della realtà spicca quello di capirsi ed intendersi; Palomar è un libro sul silenzio e sulla quantità di parole che possono nascere dal silenzio.
Maurizio Marchese
Bibliografia:
Italo Calvino, Palomar, Mondadori
Sitografia:
http://planet.racine.ra.it/testi/palomar.htm
http://www.oilproject.org/lezione/calvino-palomar-riassunto-e-commento-2956.html