La follia ha assalito svariati personaggi della letteratura fino a diventare un aspetto caratterizzante rendendo quei personaggi veri e propri emblemi della figura del folle. Fanno al nostro caso due esempi della letteratura universale. La follia di Don Chisciotte di Miguel de Cervantes e l’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, che oltre alla materia cavalleresca hanno in comune proprio la perdita del senno.
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Cos’è la follia?
La follia è una grave alterazione delle facoltà mentali che, per quanto inquietante, ha sempre colpito l’immaginario delle persone comuni; alcuni la ritengono una condizione umana. Il tema è stato trattato in svariati modi nella storia della letteratura, d’altronde la linea che divide la normalità dalla follia in molti casi è sottile, come si chiedeva retoricamente Charles Bukowski:
“La follia è relativa, chi stabilisce la normalità?”.
La follia come categoria dello spirito umano che porta a gesti incoscienti attraversa la letteratura di tutti i tempi. È celebre, invece, “’Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam dedicato all’amico Thomas More giocando col titolo in greco Morias Enkomion. All’inizio del saggio Erasmo fa parlare la follia in prima persona che prende le distanze dai “mortali” rivelando la sua natura divina e parla direttamente:
“Non simula in volto una cosa mentre ne ha un’altra nel cuore”
La follia di Orlando
Ludovico Ariosto pubblica “L’Orlando furioso” in varie edizioni tra il 1516 e il 1532; un poema che mette in atto una concezione ironica della cavalleria.
La follia di Orlando inizia a metà poema quando il cavaliere vagando per il bosco legge su un albero delle scritte incise nella corteccia dove accanto al nome della sua amata Angelica figura quello di Medoro, giovane saraceno di cui Angelica si è invaghita.
Inoltre, quando in una grotta trova una poesia scritta dallo stesso Medoro in arabo, lingua che Orlando conosceva benissimo, in cui narrava l’amore per Angelica, i pensieri di Orlando cominciano a destare sospetti. Ma quando va a chiedere ospitalità per la notte presso alcuni contadini, gli raccontano che sul letto in cui Orlando sta dormendo, Angelica e Medoro hanno passato la loro prima notte di nozze.
Il cavaliere vede il bracciale che Angelica aveva regalato ai contadini, dunque dato per certo il fallimento amoroso viene divorato dalla follia e inizia a distruggere qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro, poi, esausto, si sdraia per terra nel bosco senza dormire e mangiare per tre giorni.
“Chi rimane immischiato nella passione amorosa,
cerchi di tirarsene fuori prima di rimanerci immischiato;
perché non troverà altro che follia,
secondo l’universale giudizio dei sapienti;
e se anche non si impazzisce come Orlando,
la pazzia sarà comunque manifesta in altro modo.
C’è forse un sintomo più evidente di pazzia
che perdere sé stessi nella ricerca di altri?” (Canto XXIV, vv.1-8)
La follia trasforma Orlando da Cavaliere impeccabile a pazzo furioso, che, sconvolto dalla scoperta della verità, attraversa diverse fasi, descritte con fine conoscenza psicologica. Illusione e autoinganno, negazione della realtà e accusa contro terzi, dolore che rende muti ed intontiti e la follia come fuga dalla realtà e distruzione del mondo.
La follia di Orlando, non senza esagerazioni e sviluppata con molte sfaccettature, è la materia della narrazione di Ariosto. Quella di Orlando è una psicologia in divenire realizzata in un crescendo di comicità in cui il poeta pone il cavaliere. In chiave comica e parodica è anche il ritrovamento del senno: secondo le tradizioni del Medioevo, l’uomo non può trovare la pace che nell’altro mondo.
Così Ariosto realizza comicamente questo concetto. Astolfo va a recuperare il senno di Orlando sulla Luna e troverà anche il suo in un viaggio che è anche parodia di quello dantesco. Nella atmosfera astratta della Luna, tra le ampolle che contengono il senno di chi lo ha perso sulla terra, viene ritrovato quello di Orlando con Ariosto che conclude allegramente a proposito di quel che si trova sulla luna e sulla follia:
“e vi son tutte l’occorrenze nostre;
sol la pazzia non vi è poca, né assai,
ché sta qua giù, né se ne parte mai.”
La follia di Don Chisciotte: lo scontro tra realtà e slancio ideale
Don Chisciotte (titolo originale: El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) di Miguel de Cervantes è stato finito di pubblicare nel 1615. Il romanzo narra la morbosa passione per la letteratura cavalleresca del protagonista Alonso Quijana.
Le letture esagerate in cui si immerge lo trascinano in uno stato di alienazione tale da percepire una realtà ben diversa da quella che lo circonda; all’immediata comicità subentra una riflessione profonda sul disinganno che nasce dallo scontro tra la realtà e lo slancio ideale. Il protagonista nel delirio si persuade che debba diventare un cavaliere errante dall’altisonante nome Don Chisciotte della Mancia.
“E così, perso ormai del tutto il cervello, gli venne il pensiero più stravagante che sia mai venuto a un pazzo: cioè gli parve opportuno e necessario, sia per accrescere il proprio onore, sia per servire il proprio paese, di farsi cavaliere errante(…..) anch’egli volle da buon cavaliere aggiungere quello della patria al proprio nome e chiamarsi Don Chisciotte della Mancia.”
Dopo tante avventure l’ultima che pone fine alla vita del cavaliere errante è la sfida che gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, travestito da Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare che la sua dama è più bella di Dulcinea. Don Chisciotte è vinto da Carrasco e ferito finalmente viene ricondotto a casa.
Una volta al villaggio, forse per l’abbattimento di essere stato vinto o per destino, viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Si risveglia gridando che sta per morire e ringraziando Dio per aver riacquistato il senno. Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco:
“Giace qui l’hidalgo forte
che i più forti superò,
e che pure nella morte
la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto,
lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura
morir savio e viver matto.”
Tramite la follia di Don Chisciotte è espresso il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso. Ridicolizzare i libri di cavalleria e fare una satira del mondo medievale.
In Spagna, la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto grande successo nel Cinquecento, dando luogo al fenomeno definito dallo stesso Cervantes dei “lettori impazziti”. Cervantes è uno degli interpreti più sensibili e originali della crisi dell’uomo nel passaggio dal Rinascimento al Barocco. Quest’opera riesce a cogliere in modo profondo le esigenze e gli slanci dell’uomo contemporaneo di cui esplora, attraverso la coppia antitetica Don Chisciotte-Sancho, la dimensione della fantasia, del sogno e appunto della follia di Don Chisciotte.
La follia di Don Chisciotte e Orlando come smarrimento dell’uomo dell’epoca
Cervantes definisce ironicamente il suo personaggio “ingenioso“ ovvero scaltro, astuto. Orlando è definito programmaticamente furioso già nel titolo e nel prologo si sottolinea che la sua follia sarà la materia del narrare, ma del paladino conosciamo anche l’aspetto assennato. Orlando è il migliore fintantoché è assennato, diventa moralmente riprovevole da folle, quando perde il senso della misura e dell’equilibrio.
Nell’opera di Cervantes Alonso Quijada non è nessuno, mentre Don Chisciotte eccelle proprio nel momento in cui le sue azioni sono smisurate in un mondo che non ne comprende più il senso. La follia per Ariosto sembra dominare tutta la vita dell’uomo; è inevitabile e il giudizio umano è sempre minacciato dall’errore. Proprio tra il ‘500 e il ‘600 l’uomo comune vedeva il diffondersi della teoria eliocentrica che smontava quella geocentrica.
La follia di Don Chisciotte e di Orlando si manifesta come rifiuto della realtà circostante; due figure romantiche la cui mancanza di adattamento nei confronti della società è giustificata dalle precarie condizioni mentali; personaggi importanti anche perché aprono e chiudono un secolo che ha visto il dissolversi della fiducia rinascimentale nelle potenzialità dell’uomo di progettare e trasformare il mondo. Attraverso la follia di Don Chisciotte e Orlando la letteratura si fa portavoce della crisi e dello smarrimento dell’uomo dell’epoca, di fronte a una realtà incontrollabile e inconoscibile.
Maurizio Marchese