Gli amatoria pocula sono potenti filtri d’amore praticati dagli antichi, i quali affidavano alla magia uno dei più grandi misteri dell’umanità: l’amore.
Fin dalla notte dei tempi l’uomo si è occupato dell’amore. Pittori, scrittori, musicisti, hanno rappresentato l’amore in tutte le sue forme. L’antichità ha dato la più grande testimonianza dell’importanza di questo sentimento nella vita dell’uomo, a tal punto da attribuire ad esso le sorti di grandi guerre e il destino di eroi invincibili. Dèi, uomini, semidivini hanno cercato di decifrare i misteri dell’amore, quella passione travolgente in grado di determinare ogni cosa.
Che sia corrisposto o motivo di sofferenza o un dolce slancio vitale, esso è stato per gli Antichi la manifestazione degli dèi tra i mortali: lo testimoniano le numerose metamorfosi di cui straborda la mitologia, che conferiscono all’amore un potere al di sopra di ogni volontà. Il mito della fecondazione di Danae sotto forma di pioggia d’oro conferma che non c’è modo di sfuggire a questa tempesta devastante.
L’importanza del sentimento amoroso si evince dai numerosi stratagemmi messi in atto dagli antichi per ottenere a tutti i costi l’amore, o anche per vendicarsi dell’amante infedele: gli amatoria pocula erano potenti filtri d’amore, preparati con ingredienti spesso disgustosi. Nelle Metamorfosi di Apuleio leggiamo una lista di questi elementi che andavano a comporre la pozione:
Aromi di ogni genere, piccole lamine di piombo con scritte incomprensibili, rottami di navi naufragate, membra di cadaveri, nasi, dita, chiodi strappati dai crocefissi con la carne ancora attaccata, sangue raccolto dagli ammazzati.
Pare che alcuni amatoria pocula fossero composti di sostanze allucinogene, delle vere e proprie droghe che avevano lo scopo di alterare i sensi di chi li beveva. Dunque, se gli Antichi concepivano l’Eros come una forza incontenibile, che incatena l’innamorato fino ad estenuare le sue membra, il filtro d’amore è il simbolo di questo incontrollabile istinto, che obbliga a innamorarsi contro la propria volontà. Esso simboleggia la tirannia del desiderio, stabilendo l’impossibilità dell’uomo di sottrarsi all’amore.
Amatoria pocula, rituali d’amore e pratiche di seduzione
La magia è un fenomeno diffuso nella quotidianità antica. Pratiche magiche venivano applicate in ambito religioso e medico: esistevano metodi per propiziare il sesso del nascituro o per mantenere in vita la madre dopo il parto, oppure venivano eseguiti riti di propiziazione o fertilità. Coloro che praticavano le arti magiche non erano ben visti nell’Antica Roma, tanto che Tiberio introdusse la pena di morte come punizione. Tuttavia, nonostante il divieto, alla magia si ricorreva sovente, anche con pratiche crudeli. Dagli Epodi (V, 11-38) di Orazio leggiamo:
Il bambino ancora impubere, spogliato delle sue insegne di libero, avrebbe intenerito perfino il cuore crudele dei Traci. […] Così il bambino, seppellito nella fossa con il volto scoperto, come i nuotatori che emergono dall’acqua soltanto con il mento, morirà lentamente, davanti allo spettacolo di piatti carichi di cibi spesse volte cambiati. E quando gli occhi fissi sul nutrimento negato si saranno chiusi per sempre, il midollo e il fegato disseccati del bambino diventeranno un filtro d’amore.
Gli amatoria pocula erano considerati dei veleni, vietati persino nelle XII Tavole del V secolo a. C., ma continuarono ad essere utilizzati, tanto che la magia d’amore finì per diventare un argomento letterario, che abbracciava generi molto diversi. Così Virgilio nell’Ecloga VIII, nella prima parte narra il dolore di un uomo tradito che pensa al suicidio, mentre nella seconda di una giovane donna che, con un rito magico, fa tornare a sé l’innamorato:
Porta acqua, e cingi gli altari di una molle benda,
brucia le pingui verbene e il muschio incenso,
affinché con le magie tolga il senno al mio amante:
qui non mancano che le formule magiche.
Riportate a casa dalla città, o miei canti, riportate Dafni.
Prima ti avvolgo in tre fili di tre colori,
tre volte conduco la tua immagine
intorno agli altari: agli Dei piacciono i numeri dispari. […]
Nei suoi Remedia amoris Ovidio propone come cura al mal d’amore un elenco di regole che l’innamorato deve seguire, ma rifiuta il ricorso ai filtri d’amore, ritenendoli inefficaci:
Ardet et adsuetas Circe decurrit ad artes; /nec tamen est illis adtenuatus amor. / Ergo, quisquis opem nostra tibi poscis ab arte, /deme veneficiis carminibusque.
Brucia Circe e ricorre ai consueti incantesimi, né tuttavia da quelli è attenuato l’amore. Quindi, chiunque tu sia che chiedi aiuto all’arte nostra, togli fiducia ai venefici e alle formule magiche.
A praticare gli amatoria pocula erano principalmente le donne: creature misteriose ed incantatrici, esperte di erbe e droghe, preparavano intrugli potenti in grado di manipolare la mente maschile. Queste strigae, scaltre, affascinanti, orgogliose, vestono i panni delle sapienti d’amore, sottomettendo la volontà dell’uomo in una società spudoratamente maschilista quale era quella dell’antichità, tanto meno nella Roma degli avi, quanto, invece, poteva essere quella greca.
Una delle componenti essenziali nella creazione di un potente filtro era il sangue mestruale, essiccato e somministrato alla vittima in una bevanda. La magia poteva essere praticata solo da persone dotate di capacità superiori, con una particolare conoscenza della natura; ecco perché la donna assumeva questo ruolo di “interprete” degli oscuri segreti della terra.
Nell’antichità, oltre all’uso di filtri d’amore, i riti di conquista amorosa erano diversi: alcuni prevedevano l’uso di bamboline di cera da far sciogliere come si sperava si sciogliesse l’amato di fronte all’incantatrice spasimante. Uno dei riti più noti è il legamento d’amore: si tratta di un’invocazione accompagnata da un preciso rituale e servendosi di oggetti che hanno la funzione di potenziamento per creare il Legamento d’Amore. Questo rituale è sopravvissuto ancora oggi nelle pratiche wicca e, solitamente, si serve della verbena, pianta sacra a Venere e utilizzata per creare potenti amatoria pocula, della sanguinaria, il cui liquido rosso che stilla dagli steli e dalle radici richiama il simbolo del sangue, e del rubino rosso, considerato la pietra della passione.
Altro elemento naturale sfruttato per la pratica di questi rituali è la luna piena: occorre avere un piatto bianco, una bottiglia di olio essenziale di basilico, una di olio essenziale di limone, una di muschio e due candele, bianca e rossa. Dopo aver tracciato tre cerchi con l’olio sul piatto bianco, si consiglia di conservare il piatto per sette giorni e seppellire i resti delle candele, il tutto recitando formule specifiche. Un’altra usanza che proviene dall’antichità è quella di portare una noce moscata sotto l’ascella per due giorni, con l’intento di “attirare” l’uomo amato. Insomma, cosa non si fa per amore!
Giovannina Molaro
Bibliografia:
Alberto Angela, Amore e sesso nell’Antica Roma, Mondadori, 2012
Sitografia:
http://www.centrostudiscienzeantichena.it/lettere-arti/329-tra-riti-e-credenze.html
http://magia.esoterya.com/la-magia-e-lamore-nellantichita/8709/