Il “Satiricon” di Petronio si presenta come una tra le opere più intricate e controverse della letteratura latina: tutto ciò che la riguarda è un insolubile enigma che ha affascinato studiosi di ogni tipo e di ogni epoca storica. Partiamo dalla ricostruzione biografica: nel corso di quasi quattro secoli è venuta configurandosi una vera e propria “questione petroniana”. È Tacito che, nei suoi “Annales”, ci menziona un non meglio identificato personaggio dal nome di “Petronius arbiter” dove “arbiter” sta per “arbiter elegantiae”. Questo presunto e raffinato viveur sarebbe vissuto ai tempi di Nerone e costretto dallo stesso imperatore a togliersi la vita nel corso dell’anno 66 a.C. Non è questa la sede per esaminare la quantomai intricata “questione petroniana”, ma basti dire che non esistono tutt’oggi elementi che ci permettano di identificare con certezza il “Petronius” di Tacito con l’autore di quell’originalissima opera che è il “Satiricon”.
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Il “Satiricon”: un puzzle difficile da comporre
È importante sottolineare che il “Satiricon” non ci è giunto per intero, bensì per quelli che oggi vengono dai più chiamati “codicilli”. Tirando le somme, una serie di pezzi difficili da ricomporre e apparentemente senza alcuna continuità logica. Abbiamo però un importante pezzo del “puzzle”: si tratta della “Cena trimalchionis”, giuntaci quasi per intero. Ma prima di entrare nel dettaglio, sarà forse meglio porsi una domanda: a quale genere letterario appartiene il “Satiricon”? Gli aspetti formali corrispondono a precisi criteri contenutistici, che in questo caso si rivelano fondamentali per mettere tutte le tessere al posto giusto.
Partiamo con il dire che il “Satiricon” è stato quasi sempre genericamente catalogato come “romanzo”. Come si potrebbe immaginare, si tratta di una definizione piuttosto anacronistica che non ha niente a che vedere con i criteri delle letterature moderne. Ma c’è un precedente: il romanzo greco. Il “Satiricon” ha molto in comune con il romanzo greco: le complesse vicende, ricche di peripezie, e la storia di un amore contrastato. Ma, colpo di scena, i protagonisti non sono un ragazzo e una ragazza, quanto piuttosto un insolito ménage à trois di tipo omosessuale. Ed è proprio per questo che va tutto filtrato attraverso una leggera e raffinata parodia, secondo il più generale modello della “satira menippea”. Andiamo più nel dettaglio: perché mai un’opera così problematica come il “Satiricon” ha affascinato per secoli filologi, storici e lettori? E quali sono i suoi caratteri di modernità?
Un realismo disincantato: il narratore mitomane
Il mondo del “Satiricon” è un mondo policromo, carnevalesco, esoterico. È un mondo senza dèi, senza cielo né terra in cui gli scapestrati personaggi si muovono senza sapere quando, come, dove e perché. Di entità numinose ce ne sono: il denaro, il sesso e la morte. Insomma, i nostri protagonisti non sono mica eroi epici! Un dio li guida, ma non è Zeus, non è Atena e nemmeno Eros o Afrodite. Si tratta di una divinità minore, Priapo, dio del sesso e della fecondità, che semina ovunque lussuria, risse, perversioni e impotenza. Ma attenzione, il “Satiricon” non è mai scandaloso come si potrebbe pensare. Petronio registra in perfetta castità di stile la disfatta di ogni legge morale, secondo un’abile e geniale poetica, comunemente chiamata “realismo del distacco”.
Petronio è l’autore nascosto: non si vede e non si sente, non punta il dito e non si erge mai ad incorruttibile giudice della società. Ecco perché può in parte immedesimarsi con il narratore, cioè Encolpio, ma non arriva mai ad identificarvisi. Anzi spesso il lettore, ignaro di questo processo, non coglie le mirabili strategie ironiche che il primo mette in atto nei confronti del secondo.
Encolpio è sì intellettuale sensibile e dolente, ma è partecipe fino in fondo dei meccanismi canaglieschi e criminali messi in atto dai suoi compagni di viaggio. Il suo personaggio è portato dalla sua cultura scolastica ad immedesimarsi ingenuamente nei personaggi e nelle situazioni che legge. Quando è privato del ragazzo che ama, si atteggia ad Achille che si lamenta sulla riva del mare; quando corre alla ricerca dell’amico traditore, si immagina di essere Enea in cerca di vendetta nell’ultima notte a Troia, e così via. Petronio usa l’arma dell’ironia per smascherare l’assurda pretesa del suo narratore mitomane di rivestire di sublime le sue meschine vicende personali.
“Sub specie labyrinthi”: un’interpretazione
La cena Trimalchionis
Quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi? [Che fare, poveri disgraziati, chiuso in quel labirinto di nuovo genere?]
Chiunque abbia letto o sentito parlare del “Satiricon” si è accorto di una costante: il labirinto. Abbiamo già menzionato la “Cena Trimalchionis”, l’unico tra i “codicilli” quasi completi. Ebbene, nella cena il tema del labirinto si manifesta fin dall’inizio sotto mentite spoglie. La casa di Trimalchione sembra quasi un’oasi per i protagonisti dopo le continue traversie, ma solo dopo rivelerà la sua vera natura. Gradualmente, Petronio ci introduce all’interno dell’ambiguità, così come gradualmente si percorrono i corridoi di un labirinto. L’arrivo alla casa si presenta tutto sommato rassicurante: c’è il portinaio, il benevolo saluto della gazza. Ma, non appena giunti alla porta, sono bloccati da un cartello con una scritta ammonitrice:
quisquis servus sine dominicio iussu foras exierit, accipiet plagas centum [qualunque schiavo andrà fuori senza ordine padronale, riceverà cento bastonate]
Poi, nell’ingresso, l’improvvisa vista di un cane dipinto, accompagnato dalla scritta CAVE CANEM. Nel portico, ogni oggetto raffigurato rallenta la marcia di avvicinamento al triclinio. Ma non è finita qui, una volta raggiunto il triclinio, la stessa cena e la lunga serie di portate a sorpresa sono una proiezione dello schema labirintico. Chi si trova in un labirinto, sbagliato il percorso, è costretto a ritornare sui suoi passi: così i convitati, ogni volta che sbagliano la congettura sulle portate in arrivo, sono costretti a ritornare sulle loro idee. E non manca il segnale: il nome del cuoco è Dedalo, nome che viene rivelato solo alla fine della cena. Dedalo è la prova manifesta degli inganni della cena. Encolpio ed i suoi amici quindi cercano di uscire approfittando della confusione, ma così come l’entrata, anche l’uscita dovrà essere raggiunta a prezzo di un lungo errare.
La nave-caverna del Ciclope
Ma lo schema labirintico non può essere limitato alla cena, ci si accorge che prima e dopo il grande pezzo centrale, Petronio si è servito del medesimo motivo: la Greaeca urbs, il lupanare dove Encolpio trova finalmente Ascilto, sono tutti labirinti con caratteristiche ben precise. L’esempio più evidente e originale ce lo fornisce con la nave, durante il viaggio per mare. Sulla nave non solo entrata e uscita coincidono, ma il tutto è inevitabilmente complicato dalla presenza di un Minotauro, un marinaio che giorno e notte controlla la via d’uscita e impedisce la fuga.
Il fascino del “Satiricon” nelle letterature moderne
L’importanza del labirinto nella letteratura è indubbio: ricordiamo Dumas, Kafka, Borges. E così anche nel cinema: come dimenticare il clamoroso esempio di Shining di Kubrick? Proprio qui sta la modernità e il fascino di un’opera come il “Satiricon”. Il labirinto, nelle epoche e nelle culture più diverse, ha costantemente mantenuto il suo valore iniziatico legato all’idea della morte e del passaggio ad una nuova vita, come metafora profondamente amara di un mondo lontano da ogni riferimento preciso. E nel romanzo è proprio Encolpio il moderno Ulisse: al contempo uno, nessuno e centomila.
Martina Pedata
Fonti
Petrionio, Satiricon, Garzanti libri, 1995, Milano
G.B.Conte, L’autore nascosto. Un’interpretazione del “Satiricon”, Il Mulino, Bologna, 1997
Petronio, Satiricon, Bompiani, Milano, 1990
P.Fedeli, Petronio: il viaggio, il labirinto, MD, “Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici”, 1981