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Si intitola “Non ci rovinate il pranzo” la pièce di Giancarlo Piacci.
A discapito delle sue 63 pagine, di cui 20 costituiscono la bella introduzione della storica Ilenia Rossini, il libro di Piacci – una pièce dai toni ironici e surreali- pone il lettore di fronte a una serie di domande etiche che mai, nonostante gli oltre settant’anni che ci separano dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno trovato una risposta soddisfacente.
La storia
La storia è animata da cinque personaggi: L’usciere, il Giudice, il Pubblico Ministero, Il Presentatore e l’imputato, Bonetti, che si ritrovano in un’aula di tribunale per discutere il caso Stato contro Tommaso Bonetti.
L’anziano ex partigiano Tommaso Bonetti ha fatto ritorno dal Brasile, in cui era emigrato, col solo scopo di uccidere a colpi di piccone al centro della piazza di Viadana un altro vecchio, Ugo Ragli. Giustizia sembra presto fatta: Bonetti ammette di aver commesso l’omicidio. Un fatto di per sé incomprensibile, assurdo, fuori di logica ma inequivocabile: la condanna può “serenamente” essere proclamata.
Ma, la solerzia con cui tutto sembra risolto, entro le 10, 25, per non “rovinare il pranzo” al giudice , da cui il titolo del libro, viene capovolta dalla domanda di Bonetti: sono colpevole, ma colpevole di cosa?
Quello che sembra un ordinario, per quanto cruento, fatto di cronaca nera in salsa di paese, nasconde una verità ben più truce. Bonetti ha aspettato quarant’anni per tornare in Italia e uccidere non un vecchio compaesano, ma l’artefice di un grave delitto contro la sua famiglia per ragioni politiche. Ragli, era infatti un fascista incallito quando Bonetti militava nelle fila dei partigiani.
Giustizia e vendetta
Così le carte si squadernano di fronte al lettore che osserva i due poli della giustizia compattarsi per assumere comportamenti assolutamente inadeguati rispetto all’evento.
Da un lato il giudice, sorta di entità pantagruelica, affamato dall’idea di masticare cause e burocrazia come lauti pranzi; grande stomaco del sistema giustizia, è preoccupato di macinare carte e cibo in un mulinìo insaziabile e scevro di empatia.
Dall’altro, il pubblico ministero, che incarna la mancanza di contestualizzazione e ragione storica con cui si cerca di liquidare l’omicidio di Ragli.
Infine l’imputato, Bonetti, che in una frase spiega la vicenda e le sue ragioni: Ho avuto la mia storia e non l’ho mai dimenticata.
Quale memoria per la nostra Storia?
Il libro, che ci auguriamo qualche regista coraggioso scelga di mettere in scena presto, è liberamente ispirato alla storia di Giuseppe Bonfatti che, nel 1990, uccise Giuseppe Oppici, reo di avergli incendiato la casa e aver picchiato sua madre e sua sorella nel 1944.
Piacci ha la capacità di narrare con la leggerezza del paradosso, e forse per questo il libro appare ancora più perturbante, un episodio drammatico, chiave di volta di quel che resta della Resistenza italiana. L’omicidio del 1990 si può leggere come un rigurgito di quella Resistenza che fuoriesce da una saracinesca chiusa male.
La ferita che la guerra generò non fu soltanto quella causata dagli invasori; ci fu anche quella più profonda e traumatica (e perciò ben più difficile da cauterizzare) degli italiani che si combattevano e che scatenò una vera guerra civile.
Nel libro la condanna di Bonetti consiste nella dannazione della memoria privata che non si eleva a modello su cui edificare i valori dell’identità nazionale. Ma nel reality che Piacci causticamente ci presenta appare chiaro al lettore che non può esistere pace senza giustizia.
La Resistenza oltre la Resistenza
E quando la giustizia non si afferma secondo lo stato di diritto, tradendo la Resistenza grazie alla quale quello Stato ha visto la luce, e lascia impuniti crimini commessi, rimane una strada aperta per la vendetta privata, che torna a farsi spazio e squarciare il presente.
Il verdetto impietoso del giudice, che condanna Bonetti alla rimozione dell’ippocampo, tuona così: Le restituiamo la sua storia perché essa non ci appartiene, da oggi sarà solo e soltanto sua e quindi di nessuno.
Il libro di Piacci è una riflessione lucida sulla necessità di mantenere viva una memoria che diventi (o ritorni a essere) Storia di tutti. Il recente omicidio di Fermo ci ha mostrato chiaramente che abbiamo ancora bisogno dei valori dell’antifascismo affinché nessuna storia sia lasciata sola a se stessa.
Marilisa Moccia
Non ci Rovinate il pranzo
Processo a un partigiano
di Giancarlo Piacci
Redstarpress, 2015
pp. 63
€ 9,00