La novella Fantasticheria di Giovanni Verga apparve per la prima volta su un periodico nel 1879 e viene integrata l’anno successivo alla celebre raccolta di novelle “Vita dei campi”, di cui la novella costituisce il testo di apertura.
Fantasticheria svolge un’importante funzione nell’introdurre la silloge verghiana, teorizzando esplicitamente alcuni capisaldi della poetica verista dell’epoca e inoltre introduce per rapidi accenni quelli che saranno i personaggi principali del romanzo I Malavoglia, che intanto sta prendendo forma nella mente dello scrittore siciliano.
Fantasticheria, in una sorta di lettera indirizzata ad un’amica con cui l’autore avrebbe trascorso un breve soggiorno ad Aci Trezza, presenta il mondo popolare siciliano nella sua dimensione di miseria e allo stesso tempo di resistenza eroica e attaccamento ai valori. Fantasticheria è, dunque, una novella decisiva per le future scelte narrative di Verga.
All’inizio della novella subito si percepisce la distanza tra la ricca e benestante protagonista e l’ambiente che la circonda oltre che con l’autore nell’osservare la realtà rurale e arcaica di Aci-Trezza: in un primo momento di romantica illusione la donna è portata a soffermarsi sulle bellezze del paesaggio ma dopo appena due giorni la donna si rende conto della monotonia della vita di paese e della sua società. Riparte quindi da Aci Trezza, dove a dire il vero avrebbe voluto fermarsi per un mese.
“Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci-Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste: “Vorrei starci un mese laggiù!”. Noi vi ritornammo e vi passammo non un mese, ma quarantott’ore; i terrazzani che spalancavano gli occhi vedendo i vostri grossi bauli avranno creduto che ci sareste rimasta un par d’anni. La mattina del terzo giorno, stanca di veder eternamente del verde e dell’azzurro, e di contare i carri che passavano per via, eravate alla stazione, e gingillandovi impaziente colla catenella della vostra boccettina da odore, allungavate il collo per scorgere un convoglio che non spuntava mai.”
Fantasticheria delinea i due atteggiamenti opposti dei personaggi: da un lato l’atteggiamento superficiale e quasi snobistico della donna, che nel corso di una breve vacanza cerca qualcosa di divertente e di folklorico, cadendo involontariamente nel ridicolo. Dall’altro, la percezione da parte di chi scrive della radicale distanza tra sé e questo mondo primitivo, che necessita di uno sforzo notevole per essere compreso e capito a fondo, senza maschere e mistificazioni. Da tale consapevolezza prende corpo la progettualità di “Vita dei campi”, con cui Verga comincia ad abbracciare i canoni “scientifici” di oggettività e impersonalità propri del Verismo:
“Voi non ci tornereste davvero, e nemmen io; – ma per poter comprendere siffatta caparbietà, che è per certi aspetti eroica, farci piccini anche noi, chiudere tutto l’orizzonte fra due zolle, e guardare col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori”
Si intuisce che al problema della prospettiva si affianca quello dell’impegno etico del narratore che, pur non facendo parte di questa realtà, deve sforzarsi di aderirvi nella maniera più piena e “vera”.
Il narratore, infatti, prova comunque a spiegare alla donna le caratteristiche della vita di Aci Trezza, provando a farle superare le prime superficiali impressioni presentando la povera gente che vi abita, indispensabile per capire la natura del luogo: il fatto peculiare è che in questo villaggio di pescatori si sopravvive necessariamente con l’appoggio dei compaesani.
Ora al sarcasmo verso la vanità e i disvalori della classe borghese si contrappone la convinzione che per coloro che appartengono alla fascia dei deboli è necessario rimanere legati ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare che il mondo, cioè il “pesce vorace”, li divori: l’ideale dell’ostrica.
“Ora rimangono quei monellucci che vi scortavano come sciacalli e assediavano le arance; rimangono a ronzare attorno alla mendica, e brancicarle le vesti come se ci avesse sotto del pane, a raccattar torsi di cavolo, bucce d’arance e mozziconi di sigari, tutte quelle cose che si lasciano cadere per via, ma che pure devono avere ancora qualche valore, poiché c’è della povera gente che ci campa su; ci campa anzi così bene, che quei pezzentelli paffuti e affamati cresceranno in mezzo al fango e alla polvere della strada, e si faranno grandi e grossi come il loro babbo e come il loro nonno, e popoleranno Aci-Trezza di altri pezzentelli, i quali tireranno allegramente la vita coi denti più a lungo che potranno, come il vecchio nonno, senza desiderare altro, solo pregando Iddio di chiudere gli occhi là dove li hanno aperti, in mano del medico del paese che viene tutti i giorni sull’asinello, come Gesù, ad aiutare la buona gente che se ne va. – Insomma l’ideale dell’ostrica! – direte voi. – Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi.”
Questo ideale rappresenta la miglior sintesi della caparbia mentalità popolare, che per Verga costituisce un prezioso lascito di valori. Solo vivendo ancorati allo scoglio dove il destino li ha collocati, gli abitanti di Aci Trezza possono sperare di salvarsi nella lotta per la sopravvivenza, e sfuggire al “dramma” che il vedrà sempre sconfitti.
“… mi è parso ora di leggere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei deboli, nell’istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alle tempeste della vita, e ho cercato di decifrare il dramma modesto e ignoto che deve aver sgominati gli attori plebei che conoscemmo insieme. Allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace com’è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui. – E sotto questo aspetto vedrete che il dramma non manca d’interesse. Per le ostriche l’argomento più interessante deve esser quello che tratta delle insidie del gambero, o del coltello del palombaro che le stacca dallo scoglio.”
Sembra proprio che le righe finali di Fantasticheria, oltre che anticipare il ciclo dei vinti aperto da I Malavoglia, alludano al grande impegno etico che Giovanni Verga abbracciò negli anni a venire: una missione letteraria che lo vedrà, in poco più di un decennio, produrre alcune delle opere più alte della storia letteraria italiana.
Maurizio Marchese
Bibliografia:
G.Verga, Tutte le novelle, Mondadori, Milano, 1979.