In una New York sull’orlo del collasso, assediata da violenti movimenti di rivendicazione femminista e antirazziale e pullulante di topi giganteschi, un giovanotto inglese giunge in cerca di un lavoro. Evelyn (Evandro nella versione italiana) non sa ancora di essere atterrato nella City of Dreadful Night: tutto ciò che gli accadrà in seguito è molto al di là della comprensione razionale. Solo attraverso un’analisi dei simboli e dei miti che Angela Carter ha disseminato ovunque nella stesura del romanzo è possibile districarci in questa matassa – di sole 194 pagine – e tentare di attribuire un significato alla creazione della nuova Eva, ma potremmo anche dire alla nascita di un nuovo Tiresia.
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La passione della Nuova Eva
La passione della nuova Eva di Angela Carter viene pubblicato per la prima volta nel 1977, periodo caratterizzato dagli ultimi momenti di una stagione di femminismo energico e militante. Il retroterra culturale dell’autrice si colloca in questo contesto, anche se non va dimenticato che, come sosteneva anche Svevo, il romanziere “si balocca” con la filosofia, non deve chiarirla ma piuttosto umanizzarla, anche a costo di “falsificarla”.
Il protagonista, Evelyn, è il tipico uomo che pensa esclusivamente al proprio piacere: le sue relazioni con l’altro sesso sono solo incontri fugaci, neppure il nome dell’altra sembra avere importanza; si tratta quindi, già nel caso del protagonista, non di una personalità complessa e individuale, ma piuttosto del simbolo di un certo atteggiamento maschile nei confronti della donna. L’unica donna che pare lasciare un segno su di lui è Tristessa de St Ange, diva del cinema gotica e un po’ demodé, famosa per le sue struggenti interpretazioni di film quali Cime tempestose e La caduta della casa degli Usher. Ecco come viene descritta:
[…] the most beautiful woman in the world, who executed her symbolic autobiography in arabesque of kitsch and hyperbole yet transcended the rhetoric of vulgarity by exemplifying it with a heroic lack of compromise. [1]
Sviluppi della trama (attenzione: spoiler limitati a questa sezione)
Per quanto riguarda l’avventura di Evelyn nella City of Dreadful Night, dopo essere stato sedotto da una provocante ballerina nera, Leilah, e averla in seguito abbandonata a se stessa e al suo devastante tentativo di abortire (che la lascia sterile), il protagonista fugge nel deserto ai margini della città “per trovare se stesso“. Questa ricerca è ironicamente esaudita, nel senso che a Beulah, sorta di città sotterranea e artificiale abitate da sole donne e presieduta da una gigantessa con due paia di seni che tutte chiamano Mother, Evelyn troverà un altro sé: Eva. Mother è infatti una chirurga plastica che, da anni, progetta la trasformazione di un uomo in donna (da Evelyn a Eva, appunto) e la fecondazione di quest’ultima con il seme prodotto dal suo stesso corpo.
Il percorso di Evelyn/Eva, però, è ancora lungi dall’essersi concluso: la fuga da Beulah per salvarsi dalla fecondazione, il rapimento da parte del poeta poligamo Zero, che tratta le sue mogli peggio dei suoi maiali da compagnia, e la ricerca della casa di Tristessa ai margini del deserto sono episodi che complicano il tutto più che chiarirci il significato della storia, al punto che alla fine della lettura si è – comprensibilmente – più confusi di prima. I motivi di confusione sono di varia natura: l’atteggiamento ambiguo di Eva nei confronti della sua nuova identità; la scoperta che Tristessa non è ciò che sembra; il groviglio di apparenze che si sovrappongono all’essenza, tanto da non poter più distinguere l’una dall’altra (culmine di questa situazione è il finto matrimonio celebrato tra Tristessa e Eva: un uomo vestito da donna, una donna vestita da uomo che, in passato, era uomo davvero).
Proveremo quindi ad avanzare una proposta che, pur non sciogliendo i nodi principali, tenta almeno di inquadrarli in un progetto: quello di costruire una nuova mitologia – fatta di simboli e di miti rielaborati – al fine di dimostrare che ogni mitologia è in realtà una semplificazione, la falsificazione di una realtà estremamente più complessa. Per Angela Carter, il mito non è un veicolo di verità.
Il valore ambiguo dei simboli
La passione della nuova Eva, adesso possiamo dirlo con ragionevole sicurezza, è un romanzo sulla ricerca e costruzione dell’identità sessuale, nonché sulla distinzione tra sesso biologico e genere inteso come costrutto sociale. Il “problema” è che Angela Carter, da narratrice visionaria qual è, non dà risposte certe, preferendo invece presentare la complessità della questione senza scioglierla. Andando per ordine: che valore ha il mito della creazione di Eva, così com’è rielaborato in questo romanzo? Come interpretare il personaggio di Tristessa, che ha fatto di se stessa un simbolo? Che carica hanno – positiva o negativa – Leilah e Mother, dotate di connotati solitamente attribuiti alla sfera maschile? Per non parlare, poi, dei rimandi intertestuali ad altre opere, prima fra tutte The Waste Land di Eliot, che richiama per il riferimento a Tiresia e lo scenario “parlante” del deserto, immagine della sterilità.
La creazione di Eva
Eva viene creata chirurgicamente a partire da un uomo, Evelyn, che si sente uomo a tutti gli effetti, o quanto meno non problematizza la sua identità prima di essere rapito dalle donne di Beulah. Fuor di metafora, la creazione di Eva potrebbe significare la creazione di un certo tipo di figura/stereotipo femminile, che vede la donna in posizione subordinata e secondaria, nonché immagine della perfezione agli occhi di un uomo (guardandosi allo specchio, Evelyn/Eva ammetterà di essere diventato l’incarnazione dei suoi stessi sogni erotici). Ella si trova inoltre nella condizione di Tiresia, accumulando su di sé un secondo mito: solo Tiresia, avendo vissuto sia nel corpo di un uomo che in quello di una donna, sarebbe a conoscenza dei segreti dei piaceri del corpo, avendoli sperimentati da entrambe le parti. Eva, però, sostiene di non sapere nulla di tutto ciò:
Masculine and feminine are correlatives which involve one another. […] But what the nature of masculine and feminine might be, whether they involve male and female […] that I do not know. Though I have been both man and woman, still I do not know the answer to these questions. Still the bewilder me. [2]
Polemiche sulla figura femminile
Alcuni critici [3] hanno giudicato negativamente il romanzo di Angela Carter proprio in virtù della sua ambiguità. Sembrerebbe, cioè, che la scrittrice non abbia realmente sostenuto la “causa” delle donne, dipingendo “maschere” della femminilità solo in chiave negativa o artificiale. Nel caso di Eva, fino alla fine non è chiaro quale sia la sua identità – se l’abbia, in effetti, “trovata”: anche la visione del mare nelle ultime pagine, rimandando ancora ad Eliot, resta aperta ad un vago senso di speranza non meglio specificata. In Tristessa, a maggior ragione, si tratta di una femminilità tutta costruita; Eva dirà che la sua caratteristica è di “non avere uno status ontologico, ma solo iconografico“. La ragione di esistere di Tristessa è quella di incarnare – proprio nel senso etimologico di “farsi carne” – l’oggetto del desiderio di un uomo: Tristessa ha fatto di sé un’icona, sacrificandosi in quanto individuo.
Accanto a queste figure femminili, ambigue perché incarnazione dello sguardo maschile sul mondo femminile (in questo senso possiamo dire che esse rappresentano la “costruzione” di un’identità, cioè la costruzione della donna da parte della cultura maschile dominante nel corso di tanti secoli), si contrappongono quelle di Leilah e di Mother. Mother, in particolare, si fa chiamare “the Great Parricide” e “Grand Emasculator“: è, insomma, anch’essa la personificazione di un archetipo mitologico, quello della Grande Madre, nonché delle teorie sul matriarcato avanzate da una frangia degli studi femministi. In questo senso, quindi, Mother sarebbe sì una figura negativa, ma finalizzata a demistificare un ennesimo pregiudizio, questa volta in senso opposto: la possibilità di una supremazia del sesso femminile.
Conclusioni
In ultima analisi, per citare le parole della stessa Angela Carter: i miti sono prodotti della mente umana e riflettono unicamente aspetti della concreta pratica umana. [4] Ogni simbolo che abbia la parvenza di universalità e primordialità, che sembri insomma parlare dell’umanità in quanto tale, è in realtà tutto storicizzato e affonda necessariamente le radici in una specifica cultura, che l’ha prodotto; uno dei maggiori pregi de “La passione della nuova Eva” è proprio quello di evidenziare questo considerazione.
Maria Fiorella Suozzo
Note e traduzioni
[1] la donna più bella del mondo, che scriveva la sua simbolica autobiografia in arabeschi fatti di kitsch e iperboli, trascendendo tuttavia la retorica della volgarità mettendola in scena con un eroico rifiuto del compromesso. (trad. mia)
[2] Il maschile e il femminile sono correlativi che si implicano a vicenda. Ma quale possa essere la natura di maschile e femminile, se questi concetti implichino quelli di maschio e femmina, questo non lo so. Nonostante io sia stata sia maschio sia femmina, ancora non conosco la risposta a queste domande. Ancora mi disorientano. (trad. mia)
[3] ad esempio P. Palmer in Contemporary Women’s Fiction, 1989
[4] “Notes from the Front Line” in On Gender and Writing, M. Wandor ed. (trad. mia)
Fonti
The passion of New Eve, Angela Carter, Virago Modern Classics
Magiche rifrazioni. Angela Carter e le riscritture della tradizione, Anna Notaro