Teatro Deconfiscato ad Afragola
Dal secondo giovedì di questo mese, nei giorni 8, 15 e 22 settembre 2016, la città di Afragola, provincia al nord di Napoli, sarà testimone della prima edizione della rassegna teatrale “Teatro Deconfiscato” , iniziativa che si propone di affrontare la tematica della criminalità organizzata attraverso differenti prospettive e chiavi di lettura. La location che farà da “teatro” agli spettacoli è l’ex tenuta Magliulo, (sita nella zona commerciale fra Ikea e Leroy Merlin), bene confiscato alla camorra e pertanto ancora più idoneo alla tematica affrontata. Alla luce di quanto annunciato, segue un’intervista al direttore artistico della rassegna, Giovanni Meola, autore e regista del primo degli spettacoli in programma, L’infame, e fondatore della compagnia teatrale indipendente “Virus Teatrali”.
D-Qual è la motivazione, l’input, dell’idea di strutturare un’intera rassegna teatrale su un argomento impegnativo e scivoloso come la legalità ?
R-Ritengo il teatro uno strumento di eccezionale potenza di approfondimento e conoscenza del sé oltre che strumento fenomenale per il risveglio delle coscienze, a qualunque titolo. Un teatro in grado di emozionare, di far dubitare, di smuovere, è un teatro che crea un circolo virtuoso di energie che possono tramutarsi in atti e decisioni, personali o collettive, nella vita quotidiana. Partendo da questa premessa, io ho personalmente cercato, negli anni, di pensare al teatro in questi termini e, come autore, come regista e oggi come ideatore di una rassegna, mi è venuto spontaneo occuparmi di tematiche contemporanee, a me vicine, per relazione geografica e per impatto sulla mia vita e sulla vita della società di cui faccio parte. Il primo testo scritto, diretto e rappresentato su questi temi risale addirittura al 1999 (‘Lo Sgarro’); lo posso definire il primo testo post-eduardiano basato su di un personaggio border-line, uno spietato boss di provincia, vittima alla fine della sua stessa megalomania, un lavoro che superò le 100 repliche complessive, partecipando anche a festival assai prestigiosi, come Benevento Città Spettacolo. Da allora, quando ho scritto in napoletano, la mia attenzione si è rivolta a personaggi di quel tipo, personaggi ai quali mettere in bocca le proprie verità, più o meno difendibili ma poi valutate dallo spettatore, messo di fronte ad una casistica varia e ampia. A volte con un registro drammatico, a volte grottesco, a volte misto, a seconda dei casi, ma negli anni non è mai venuta meno la voglia di affrontare questo tipo di personaggi e storie. Ecco, da questo nasce la motivazione che ha generato Teatro Deconfiscato, pur ricordando sempre a me stesso che queste tematiche sono appunto ‘scivolose’ se le si affronta in maniera sciatta, superficiale, melodrammatica.
D-Perché ampliare la scelta degli spettacoli oltre i confini campani, facendo partecipi della rassegna anche autori e attori, ma soprattuto storie e problemi, di altre due regioni meridionali ?
R-L’originalità del format da me ideato risiede, credo, proprio in questa volontà: creare un racconto a più voci, come un affresco, relativo a questa non invidiabile originalità del contesto sociale italiano, ovvero la presenza pervasiva e arrogante di diverse mafie geograficamente connotate. Io credo che il non aver ammesso per tanto tempo e il non aver parlato costantemente della potenza e dell’ingerenza delle mafie, nei decenni tra la fine della seconda guerra mondiale e l’uccisione di Falcone e Borsellino, abbia determinato, a dir poco, una sorta di ‘dormita’ generale di cui scontiamo oggi le gravissime conseguenze. E dato che, come dicevo prima, il teatro è uno strumento estremamente valido nello scuotere le coscienze, ecco che proprio il teatro, soprattutto nell’ultimo decennio, ha operato uno scatto in avanti, portandosi in un territorio a metà tra la denuncia e la chiamata di correità nei confronti di una società di cui, non dimentichiamocelo, è specchio. Era naturale per me, a questo punto, dopo il lungo percorso compiuto proprio a partire dal 1999 (molto prima dell’esplosione di ‘Gomorra’ il libro, quindi), immaginare un racconto a tre voci, una per ciascuna realtà meridionale malata di criminalità organizzata.
D-Ci racconti le difficoltà (se ce ne sono state) incontrate nell’organizzare l’inizativa ad Afragola, comune alle porte di Napoli in cui sembra mancare da tempo una vera politica culturale, o al contrario il sostegno ricevuto ?
R-Sì, manca del tutto una reale politica culturale in moltissime parti di un Sud incapace di comprendere quanto sia importante costruire un tessuto connettivo civile che veda nella cultura la risorsa principale. Sono ormai quasi due decenni, ben prima che i mass-media ne parlassero
aggiungo, che molti brillanti laureati vanno via, partendo senza ritornare più in queste terre. Questa è una iattura totale perché è come se un organismo espellesse le cellule sane per trattenerne moltissime malate ed è la vera tragedia di questi tempi, troppo spesso sottovalutata in tempi di globalizzazione e internalizzazione. Moltissimi vanno via proprio per questo tipo di mancanza e quindi, come un cane che si morde la coda, vanno via molti di quelli che potrebbero dare una sterzata alle cose e chi, tra quelli che rimane, sarebbe altrettanto capace di farlo, tira i remi in barca perché sconfortato dalla impossibilità di trovare interlocutori vogliosi o anche solo capaci di smuovere le cose. Certo non è così ovunque e in qualunque momento, ci mancherebbe, ma nella generalità dei casi la mancanza di una politica culturale è deprimente. Ogni tanto però, come nel caso degli assessorati alla Cultura e alle Politiche Giovanili del comune di Afragola, pare invece smuoversi qualcosa: la mia proposta di effettuare questa rassegna in un bene confiscato alla camorra (altro tema fondamentale è proprio questo della politica del riutilizzo di questo tipo di beni, spesso lacunosa per non dire peggio) ha incontrato il loro favore e apprezzamento. Anche se poi le difficoltà non sono mancate. Ma sono state superate lavorando con attenzione su ogni singolo dettaglio e ora siamo pronti a ricevere la visita di spettatori ai quali chiediamo lo sforzo di immaginare come potrebbe essere interessante se tutti questi beni, frutto di sopraffazioni e violenze, venissero riconsegnati alla collettività. In questo caso, noi e il comune di Afragola stiamo cercando di accendere una lucina, di attenzionare quante più persone possibili, attraverso il teatro e tre spettacoli forti e diretti, ma il vero lavoro andrà poi fatto e portato avanti proprio da politica e agenzie educative.
D-Quali sono le aspettative riguardo la rassegna ?
C’è già l’idea di una seconda edizione di ‘Teatro Deconfiscato’ ?
R-Le aspettative sono certamente alte. Alte perché è in corso, da parte mia e da parte di tutto lo staff coordinato da Napoleone Zavatto (mio collaboratore incaricato del lato organizzativo dell’intera rassegna), il tentativo di coinvolgere diverse categorie di cittadini, dalle associazioni alle cooperative che lavorano con i migranti, dai collettivi a volontari di varia natura, ai boy-scout e così via.
Alte perché se anche una sola persona andrà via, dopo aver visto uno o tutti e tre gli spettacoli, con un pensiero diverso da quando è venuto, con un dubbio, con la sensazione di aver vissuto qualcosa che lo farà riflettere, che lo ha coinvolto emotivamente, che gli ha creato un processo di identificazione che lo ha commosso o irritato, allora l’effetto del ‘teatro’, la magia del ‘teatro’ si sarà concretizzata e le mie, le nostre aspettative, saranno state esaudite.
Alte perché ogni volta che il teatro è in grado di accogliere (anche e soprattutto in location atipiche, come questa dell’ex-Tenuta Magliulo dove non c’è niente, nemmeno la corrente elettrica, che porteremo noi con un generatore) vuol dire che può nascere qualcosa. I tre spettacoli da me selezionati hanno un punto in comune, a mio avviso: sono diretti, immediati, sono un cuneo in grado di penetrare nelle difese emotive e razionali del pubblico che vorrà condividere con noi questa avventura.
Ovviamente, idea, desiderio e volontà di realizzare una seconda edizione ci sono e sono forti ma il tutto va sottoposto a due tipi di riscontri: quello del pubblico che saremo in grado di coinvolgere e l’atteggiamento dei politici, dato che l’utilizzo di beni confiscati (da cui il nome da me scelto per la manifestazione, Teatro appunto Deconfiscato), quando non ancora assegnati, è tutto nelle mani degli enti locali. Se da questa piccola goccia può nascere, anche solo sul lungo periodo, un’idea culturale forte, non potrò che esserne felice. Ma, ripeto, non dipende solo da me e da noi.
Certamente, non rimarrò e non rimarremo con le mani in mano: ci sono già richieste, anche da parte di enti locali del Nord (nella cerchia del milanese, tanto per fare un esempio, non immune da decenni alle infiltrazioin malavitose), per valutare la congruità di questo format rispetto ai beni confiscati in loro dotazione.
Letizia Laezza
Rassegna Teatro Deconfiscato – pagina ufficiale