Il divorzio dall’Europa voluto dalla Gran Bretagna – che prende il nome di Brexit – sta materialmente prendendo forma. È pur vero che per l’effettivo goodbye della Regina ci saranno lunghe attese, tuttavia le decisioni pratiche non tardano ad arrivare e saranno realizzate ad immagine e somiglianza della cortina di ferro del secondo dopoguerra, ma con un altro nome: il muro di Calais. Londra si mostra sempre più lontana e, contemporaneamente, circondata dal pregiudizio – in particolare dalla xenofobia – diventandone un esempio pratico.
Quali sono le cause? E quali gli effetti? Si può estirpare un pregiudizio?
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Il muro di Calais collega britannici e xenofobia
Nei pressi del porto di Calais, nel nord della Francia, sorge The Jungle, la giungla che spaventa gli inglesi: si tratta di un immenso campo profughi nel quale vivono immigrati in attesa di raggiungere l’Inghilterra, la terra promessa. Per evitare l’invasione – che, di fatto, non esiste – la Gran Bretagna costruirà il “Great Wall”, il muro di Calais, uno scudo alto 4 metri e lungo 1 chilometro per impedire ai migranti di salire a bordo dei tir che ogni giorno si imbarcano sui traghetti o attraversano il tunnel lungo la Manica. La decisione è già stata accettata da Parigi e prende inizio attraverso la creazione di una barriera di filo spinato.
Il termine xenofobia deriva dal greco – letteralmente “paura dello straniero” – e indica atteggiamenti di rifiuto verso ciò che è diverso, che è strano, ciò che oltrepassa i limiti nazionali; si affianca alla produzione del pregiudizio nei confronti di cittadini extracomunitari che, in questo caso, sono coloro che vivranno dalla parte opposta del muro di Calais. Attraverso la xenofobia si afferma la superiorità della nazione e l’identità del popolo prendendo di mira chi appartiene all’alterità, ad una società altra. Inoltre, affinché la xenofobia si manifesti, occorre che lo straniero sia vicino: quindi è indispensabile tener presente il fenomeno dell’immigrazione. Il primo atteggiamento degli xenofobi è evitare di incontrare l’oggetto della propria paura; se ciò accadesse, si creerebbero stati d’ansia che potrebbero sfociare, nei soggetti più aggressivi, in discriminazione e violenza – atti di puro razzismo.
Qual è il filo conduttore?
I britannici, attraverso la creazione del muro di Calais, dimostrano di non desiderare gli stranieri, di volerli allontanare e quindi di provare paura nei loro confronti. È necessario notare che in Gran Bretagna essi sono in numero minimo rispetto al resto dell’Europa. La grande muraglia di Calais diventa uno strumento della xenofobia del XXI secolo che sembra, però, tornare indietro di qualche anno. La questione migranti è aperta da tempo e Londra vuole chiuderla in questo modo, dimostrando di non sentirsi parte dell’Europa.
Tralasciando le innumerevoli opinioni sul destino delle frontiere, le scienze sociali possono proporre, attraverso le teorie di psicologi e studiosi, un’analisi sulle cause del pregiudizio, con particolare attenzione a quello xenofobo.
Quando il giudizio sorge prima della conoscenza
Il pregiudizio è un’antipatia fondata su una generalizzazione falsa e inflessibile. (Allport, 1954, p.9)
Il pregiudizio è un costrutto della mente umana: l’uomo tende a creare, in qualsiasi settore della vita, un giudizio che precede la conoscenza. Esso è strettamente connesso connesso all’atteggiamento, al modo in cui ci si pone nei confronti dell’altro; se ne differenzia perché, mentre l’atteggiamento è considerato in relazione ad un singolo individuo, il pregiudizio è sperimentato verso una categoria sociale. Nel caso particolare della xenofobia, il primo tassello è il rifiuto e la paura ( atteggiamento) i quali si trasformano nell’idea negativa verso la categoria sociale (pregiudizio) degli extracomunitari, creando gli stereotipi. Con questo termine si intende la rappresentazione semplificata di categorie di individui basata su pochi e semplici tratti i quali, il più delle volte, sono estremamente riduttivi. Studiosi appartenenti alle scienze sociali e psicologiche hanno offerto diverse spiegazioni e analisi riguardo l’origine del pregiudizio.
La personalità autoritaria e l’identità sociale
Secondo il filosofo Theodor Adorno, appartenente alla Scuola di Francoforte, il pregiudizio si diffonde più facilmente fra gli individui dotati di personalità autoritaria. Questo concetto è abbastanza ambiguo: esso non indica un carattere prepotente e aggressivo, piuttosto un atteggiamento di sottomissione nei confronti dell’autorità; per questo motivo, si manifesta alla presenza di un’educazione repressiva. La prospettiva di Adorno conferisce come causa del pregiudizio i fattori socio-educativi, concentrando l’attenzione sull’ambiente familiare: non bisogna tralasciare, però, le altre agenzie educative – quali scuola, i media, le associazioni – che creano le identità sociali, concetto attribuito allo psicologo britannico Henri Tajfel. L’identità sociale ha origine in relazione al gruppo, il quale è definito ingroup (gruppo di appartenenza) e outgroup (gruppo di non-appartenenza), oggetto di pregiudizio e discriminazione.
È possibile attenuare un pregiudizio?
Secondo gli studi, la risposta è positiva. A tal proposito è stata formulata l’ipotesi del contatto: vivere a contatto, diretto o immaginario, con l’oggetto del pregiudizio – gli stranieri, nel caso della xenofobia – riuscirebbe a limitarlo; agendo alla fonte del problema, la non conoscenza, è possibile effettuare una “decategorizzazione”. Bisogna chiarire che il semplice contatto non è abbastanza: ad essa va associata la cooperazione e la condivisione di un obiettivo comune.
Alla luce delle analisi fornite dalle scienze umane, ne deriva che la costruzione del muro sulla manica è un esempio pratico di xenofobia, una soluzione inutile e disumana. L’accoglienza – quella organizzata, non anarchica – è, probabilmente, l’unico principio che rende l’uomo ancora perfettamente umano.
Alessandra Del Prete
Fonti
[1] Allport G., “La natura del pregiudizio”; 1976, la Nuova Italia.
Per maggiori informazioni:
Enciclopedia delle scienze Sociali Treccani.
Psicologia. Mente, Apprendimento, Relazioni, Educazione. Perason Italia, 2010, Milano.