Il guappo è una figura che risale alla fine del Quattrocento, quando il Regno passò sotto il controllo degli Aragonesi. La città subì dei cambiamenti non solo dal punto di vista urbanistico e sociale, ma anche linguistico: alle varietà locali si aggiungeva la lingua spagnola, «che aveva un suo spazio negli ambienti vicereali e tra le truppe che pure avevano contatti con la popolazione cittadina», come scrive Nicola De Blasi.
Molte parole di origine spagnola entrarono nei dialetti campani, sopravvivendo ancora oggi: guappo deriva dallo spagnolo guapo ꞊ mascalzone, ruffiano. L’etimologia è da ricercare nel latino vappa ꞊ vino svanito, uomo corrotto, da cui derivano alcune forme dialettali, tra cui vappo a Livorno, vap a Como. Inizialmente con accezione positiva, il significato della forma spagnola si è diffuso nei paesi italiani direttamente influenzati dalla Spagna e compare per la prima volta in Luis Quiñones de Benavente morto nel 1651.
Il guappo è entrato a far parte della tradizione e del costume di Napoli, ed indicava un uomo appartenente alla malavita, aduso alla violenza, ma che agiva in base ad un proprio codice d’onore. Da guappo derivano anche il verbo guappeià ‘comportarsi, agire da camorrista’, e l’aggettivo guappesca ‘guappesco, camorristico’.
Il guappo: dai vicoli alla letteratura dialettale
Il guappo compare sulla scena partenopea sotto il dominio aragonese e successivamente, durante la dominazione dei vicerè, nel momento in cui la camorra e l’ispanica Confraternita della Guarduna intessono stretti rapporti. Secondo lo storico Fausto Nicolini, l’origine di questa figura ha a che fare con le azioni illegali dei cosiddetti “compagnoni”. Il guappo non è il camorrista, poiché la sua collocazione non è nelle stanze del potere, ma nei vicoli della città.
Il ruolo del guappo è stato rilevante nell’arte e nella cultura napoletana moderna, restituendo testimonianze anche nei classici. Le azioni eroiche di un guappo sono raccontate nel poema Micco Passaro (1619) di Cortese, nel quale la vita dei guappi e delle guagnastre ha come sfondo l’impresa contro i fuorusciti d’Abruzzo, ordinata dal Re di Spagna Filippo III. Il guappo di Cortese è l’eroe del quartiere, che incita gli altri uomini ad arruolarsi per adempiere al valoroso dovere richiesto dal Re.
Le qualità “positive” del guappo napoletano vengono sottolineate in una nota poesia di Ferdinando Russo, scritta nel 1892 in memoria dell’ultimo guappo di Napoli, Ciccio Cappuccio. Si tratta di una vera e propria ode all’idolo della napoletanità, considerato l’unico difensore dei più deboli. Di seguito alcuni passi salienti della famosa Canzone ‘e Ciccio Cappuccio:
[…]
Scugnizze, cape–puopole,
picciotte e contaiuole,
chiagnite a ttante ‘e lacreme!
‘Ite perdute ‘o Sole!
Currite, belli femmene,
sciugliteve ‘e capille,
purtateve all’asequie
‘e figlie piccirille!
Chi ve po’ cchiù difendere?
Senz’isso che ffacite?
A chi jate a ricorrere
Si quacche tuorto avite?
Isso, sul’issso, ea àbbele
A fa scuntà sti storte…
L’interesse giornalistico per l’ambiente della malavita con i suoi protagonisti, conduce il poeta Salvatore Di Giacomo a delineare un profilo veristico dei guappi, soprattutto nel dramma dialettale A San Francisco (1896), ambientato in un camerone del vecchio carcere napoletano di San Francesco. I personaggi sono tratteggiati con verità e sentimento, una scultura a tutto tondo della psicologia della malavita napoletana.
Ad impersonificare il mito del guappo napoletano è il protagonista de Il sindaco del Rione Sanità, uno dei capolavori di Eduardo De Filippo (1960). A differenza dei comuni guappi “di cartone” popolani forgiati da Raffaele Viviani, il guappo di De Filippo è un individualista, un anarchico capo-quartiere, che agisce secondo un proprio codice d’onore.
Il linguaggio del guappo
Il profilo del guappo è caratterizzato non solo dall’abbigliamento tipico e dalla gestualità, ma anche da un linguaggio specifico, per così dire settoriale. Dalla lettura di alcune opere, che mostrano la presenza del malavitoso, è emerso come l’utilizzo di un determinato lessico abbia la funzione di marcare il ruolo del guappo rispetto a tutti gli altri personaggi. Se nei confronti della donna che ama il guappo utilizza un linguaggio che risulta languido e sentimentale, la sua vera natura scaturisce nei dialoghi con il suo aiutante o con i suoi avversari.
La differenziazione non si verifica soltanto sul piano del registro linguistico, ma riguarda l’impiego di vere e proprie forme gergali. Per la definizione di gergo si veda la formulazione fornita da Patricia Bianchi:
[…] un parlare speciale (più raramente attestato nella scrittura) adoperato per la comunicazione interna da gruppi sociali molto chiusi, vincolati da un forte senso di appartenenza e poco inclini a relazionarsi con altre comunità.
La documentazione sul gergo risulta circoscritta in quanto il parlante non scrive in gergo e lo usa esclusivamente per rivolgersi alla cerchia ristretta di malavitosi. L’interesse culturale delle forme gergali da parte degli autori ha consentito di riscontrare la loro presenza in opere teatrali già nel Settecento, impiegate per delineare il parlato del tipo guappo.
Ad esempio, in situazioni di rissa, scrive de Bourcard nel suo libro Usi e costumi di Napoli (1866) il guappo grida:
Ebbè senza che ffaie tutte sse ngestre; cca simmo canusciute, e aggio fatto scorrere o sango a llave po quartiere.
Verbi come nfilà, ammallà, abbottà, smenozzà, squartà, sbodellà, abbuscà sono sovente utilizzati dal guappo in situazioni di minaccia, volendo manifestare il suo diritto di esercitare la violenza ai danni del prossimo. Inoltre,il lessico è uno strumento utile per fornire informazioni anche sull’abbigliamento tipico del guappo. Ad esempio, il verbo sberrettà indica propriamente “salutare togliendosi il berretto” e farebbe riferimento alla riconoscibile coppola di panno indossata dai guappi, come dimostrano anche alcune raffigurazioni ottocentesche, di cui il Disegno di un guappo di Giuseppe Palizzi.
Giovannina Molaro
Bibliografia:
F. de Boucard, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, Napoli, 1866.
M. Florio, Il guappo nella storia, nell’arte, nel costume, Kairòs Edizioni, 2004.