Nel 1967 Martin Scorsese, un giovane studente di cinematografia con alle spalle qualche cortometraggio ben fatto, si appresta a girare il suo primo lungometraggio: “Chi sta bussando alla mia porta?”, basato proprio su un precedente cortometraggio del cineasta newyorkese, sarà il primo, importante passo, della lunga carriera di un regista che cambierà per sempre la storia del cinema.
Il film ha una storia travagliata, frutto delle incertezze registiche che accompagnavano Scorsese in quel periodo, indeciso su trama e personaggi (come già detto il film prende spunto da un corto, a cui poi furono aggiunti personaggi secondari e “rinfoltita” la sceneggiatura) e alle prese con le immancabili ristrettezze economiche che accompagnano praticamente ogni inizio per chi si avvicina all’audiovisivo. Lo spettatore non fa fatica a creare empatia col giovane J.R. (un esordiente Harvey Keitel, destinato poi ad una grande carriera), detto Charlie, un giovane scapestrato della Little Italy di fine anni ’60 che, tra bar malfamati e bordelli da due soldi frequentati coi suoi altrettanto scapestrati compari, si ritrova d’improvviso a toccare con mano quel sentimento destabilizzante e pericoloso che può essere l’amore. Il suo bigottismo religioso e la sua arretratezza culturale lo porteranno a risvolti quantomeno amari.
Martin Scorsese aveva inizialmente pensato di dare a questo film la forma di “bestiario” dei giovani di Little Italy, una sorta di identikit dei ragazzi senza futuro che affollavano le vie di quel quartiere che offriva ben poche speranze. Tuttavia questo progetto si concretizzerà solo qualche anno più tardi, col bellissimo “Mean Streets” (1973), ancora con Keitel protagonista affiancato dall’emergente Robert De Niro. “Chi sta bussando alla mia porta?” invece è un qualcosa di diverso. La sua trama, esile ma incisiva, ci regala un piccolo manifesto di quella che poi sarà la cinematografia scorsesiana. Il primo punto di questo “programma cinematografico” è sicuramente la religione, con cui Martin Scorsese ha sempre avuto un rapporto viscerale. Charlie trascorre le sue giornate dividendosi tra strada e chiesa, alternanza assai comune in quegli anni a Little Italy. La religione però, pur essendo un punto fermo, tiene Charlie incatenato ai propri dogmi e ai propri veti, impedendogli di formarsi pienamente e liberamente come uomo. L’avvicinamento al sesso di Charlie è quantomeno traumatico: rifiuta di avere rapporti con la sua ragazza (Zina Bethune), che pur vorrebbe concederglisi, per poi sperimentare il piacere fisico tra le braccia di varie prostitute in una squallida camera di motel. Il sesso con l’amata è per Charlie un traguardo da raggiungere solo dopo il matrimonio.
Il machismo e la violenza, altri topoi del regista, esplodono qui nei rapporti tra Charlie e i propri compari, sempre prevaricanti l’uno sull’altro e alla ricerca di qualcosa che dia un senso alle proprie esistenze. Il machismo stride parzialmente con l’ultimo topos scorsesiano: la donna angelo. Nella cinematografia di Scorsese le donne sono sempre viste come pure, candide, bionde, vestite inizialmente sempre di bianco, destinate a sporcarsi del rosso del sangue. Charlie incontra il suo angelo dopo pochi minuti, purificando il suo essere tra chiacchierate seduti sul divano e passeggiate tra i panni stesi sui tetti. Ma il dramma è dietro l’angolo: la ragazza gli confida di essere stata stuprata dal suo precedente ragazzo e Charlie, pur riconoscendo la sua ingiustificata rabbia, non riesce più a vederla con gli stessi occhi, ponendo fine al loro rapporto.
L’iniziazione sessuale di Charlie, nella scena successiva, accompagnata dalla celebre “The End” dei Doors, rappresenta la definitiva perdita di un’innocenza oppressa dai dogmi religiosi e dal difficile ambiente in cui lo stesso Charlie, alter ego perfetto di Martin Scorsese, è stato costretto a crescere. Un ambiente in cui l’innocenza, vista come ostacolo per la crescita, ha una vita estremamente breve.
Domenico Vitale
chi sta bussando alla mia porta chi sta bussando alla mia porta