Un tempo associata alla cura dell’anima, la felicità oggi si confonde sempre più frequentemente con il piacere, ma resta di fatto il centro propulsore della nostra esistenza, nonché il fine verso il quale sono convogliate le nostre speranze.
Ci si accorge della felicità solo quando è passata e, se a ciò aggiungiamo la natura soggettiva con la quale si esprime questo stato d’animo, appare chiaro perché risulti difficile se non addirittura impossibile darle una definizione univoca. La felicità può essere infatti identificata con un sentimento o un’idea, un oggetto o una persona, e può essere vissuta in relazione ad un’esperienza personale o ad una situazione generale. Quel che è certo è che la difficoltà di raggiungere questo stato di perfetta armonia non impedisce da sempre a poeti, scrittori e uomini comuni di desiderarla e provare a descriverla.
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Ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andandosene.
Jacques Prévert
Non ci si stupisca allora del fatto che la felicità tanto decantata, maledetta e sospirata sia stata anche al centro della riflessione filosofica dalle origini dell’umanità sino ad oggi, giacché tutti i grandi classici del pensiero si sono cimentati nell’impresa di prescrivere delle regole per attingere ad essa. Infinite e curiose sono, infatti, le modalità in cui la felicità è stata declinata nel corso dei secoli. A tal proposito è possibile soffermarsi almeno su alcuni tra coloro che sono riusciti a darne una visione illuminante e a tratti controversa, con l’auspicio che si possa trarre da costoro un insegnamento anche per il nostro presente e futuro.
I felici sono felici per il possesso della giustizia e della temperanza e gli infelici, infelici per il possesso della cattiveria.
Socrate
Fin dall’antichità i filosofi Greci hanno identificato la felicità con il bene ultimo dell’esistenza e l’hanno argomentata a più riprese, assumendo le posizioni più disparate e supportandole spesso con una fermezza incrollabile. È questo il caso di Socrate che, nel Gorgia di Platone, sostiene che la strada per la felicità passi attraverso la cura dell’anima, che si realizza a sua volta perseguendo la conoscenza, in quanto essa soltanto spinge l’uomo all’azione corretta e alla vita virtuosa. Proprio a causa di tale mancanza i tiranni sarebbero per il filosofo infelici, poiché la loro anima risente delle ingiustizie perpetrate. Tale posizione è supportata dall’idea che l’anima sia immortale, ma se escludessimo questa possibilità risulterebbe decisamente più difficile confutare la tesi che identifica felicità e godimento dei beni materiali.
Di tutt’altro avviso è Epicuro, che lega la felicità non solo alla cura dell’anima ma anche ai bisogni del corpo. L’anima è in questo caso mortale e va dunque liberata dal timore della morte, tenendo presente che quando quest’ultima c’è noi non ci siamo. In secondo luogo è opportuno che l’anima più che agire in un determinato modo si liberi dalla sofferenza. A sua volta anche il piacere non va stimolato, ma inteso come una risposta da dare alla richiesta dei sensi. Questo stato di equilibrio si raggiunge quando si è in grado di discernere i desideri utili alla felicità da quelli inutili o persino dannosi per l’uomo.
La felicità è un continuo progredire del desiderio da un oggetto a un altro, non essendo il conseguimento del primo che la via verso il seguente.
Thomas Hobbes
Se per gli antichi Greci la felicità chiamava in causa Dio, l’anima, la morte, la virtù e la paura, per l’Occidente moderno sembra direttamente proporzionale alla quantità di consumo. Questa è perlomeno la definizione che ne dà l’economista francese Jean-Baptiste Say e che risulta ampiamente condivisa da svariati filosofi contemporanei, primo tra tutti Zygmunt Bauman. Secondo quest’ultimo la felicità umana cresce insieme alla quantità di denaro che passa di mano in mano. Infatti il desiderio di supplire alla mancanza di felicità è ormai da più di un secolo la chiave di volta dell’economia capitalista e ha comportato non solo una progressiva confusione tra il piacere, cioè l’appagamento momentaneo di un desiderio, e la felicità, ma il tradimento stesso di quest’ultima.
Da ciò ne consegue una situazione a dir poco drammatica, che si esplica non solo nell’incapacità dell’uomo di riconoscere la felicità ma persino nella rinuncia alla sua ricerca. L’uomo versa in questa condizione perché non è più in grado di amare il prossimo. Lo stesso Bauman sostiene l’idea che l’uomo non comprende fino in fondo i pericoli che si celano dietro l’egocentrica ricerca del piacere personale e ha ormai dimenticato che solo attraverso l’incontro con l’altro è possibile riconoscersi nella propria unicità.
Non devi affannarti a cercare la felicità, perché se lo fai rischi di superarla e la felicità ti rimarrà sempre alle spalle.
Slavoj Žižek
Se per gli antichi dunque la felicità sembrava compromessa da giudizi esterni di ordine morale e religioso, per i moderni paradossalmente sembra compromessa dall’assenza di questi giudizi. Nell’epoca in cui possiamo avere ciò che desideriamo senza troppi sforzi, il piacere surclassa la felicità, perché più facile da perseguire. Facendo tesoro del passato e del presente la stessa nozione di felicità andrebbe dunque riequilibrata e pensata in una posizione diversa: libera dall’oblio ma anche dalla sua ricerca affannosa, affrancata dalla trappola dell’esclusivo interesse di sé ma anche da quella che deriva dalla dipendenza del rapporto con l’altro.
Giunti a questo punto non resta che augurarvi una buona ricerca della felicità nell’anno che verrà!
Giuseppina Di Luna
Bibliografia:
Platone, Gorgia, traduzione con testo greco a fronte, ed. Einaudi, Torino 2014.
Epicuro, Opere, a cura di M. Isnardi Parente, ed. Utet, Torino 2013.
Zygmunt Bauman, Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, ed. Laterza, Roma-Bari 2006.