Elephant Man: la bellezza secondo David Lynch

Trovare un artista più eclettico di David Lynch appare, al giorno d’oggi, cosa assai difficile (se non impossibile). Regista cinematografico, scrittore, musicista, fumettista, designer, pittore compositore: quest’uomo si è cimentato in ogni arte, eccellendo. Non è errata, probabilmente, la definizione di “ultimo artista del rinascimento” che gli è stata affibbiata. La carriera cinematografica di Lynch è costellata di successi. Film che hanno fatto scuola come “Eraserhead” (1977); “Velluto Blu” (1986); “Strade Perdute” (1997); “Mulholland Drive” (2001)” sono solo alcuni dei capolavori del settantunenne regista del Montana, che ha folgorato il grande pubblico con la serie televisiva “Twin Peaks”. Elephant Man

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Nel 1980 Lynch diresse il film biografico “The Elephant Man”, adattandolo sul memoriale del medico Sir Frederick TrevesThe Elephant Man and Other Reminiscences”. E’ la storia dello sfortunato Joseph Merrick Qui interpretato da John Hurt), conosciuto come “L’uomo elefante”, a causa di evidenti deformazioni che afflissero ogni parte del suo corpo, esclusi i genitali ed il braccio sinistro. Joseph, orfano di madre ed abbandonato dal padre in tenera età, viene sfruttato come fenomeno da baraccone dal malvagio Bytes, uomo egoista e dedito all’alcol. Oltre all’umiliazione di essere mostrato al pubblico come uno scherzo della natura Merrick deve sopportare anche le percosse ed i maltrattamenti di Bytes. Maltrattamenti che però lo condurranno nell’ospedale dove presta servizio come chirurgo il dottor Treves (splendidamente interpretato dal grandissimo Anthony Hopkins), che prima utilizzerà Merrick per i suoi studi all’università e poi si affezionerà in modo inscindibile a Joseph, riuscendo a donargli la dignità che non aveva mai potuto avere ed una casa a cui non aveva mai potuto ambire. Purtroppo il film non termina, come nelle migliori favole con un lieto fine, ma vedrà ancora Merrick doversi misurare con la cattiveria e la pochezza dell’animo umano.Elephant Man

Pur essendo forse il film meno personale di Lynch segue comunque il filo conduttore di tutta la filmografia del regista, facendone risaltare in maniera lampante i tratti comuni. Innanzitutto la deformità del corpo umano, da cui Lynch è sempre stato attratto e mostrata in maniera estrema nel suo folgorante esordio, “Eraserhead”(definito da Stanley Kubrick il suo film preferito). A farla da padrone in questo film poi, è il senso di colpa, presente un po’ in tutta la cinematografia lynchana. Senso di colpa che qui attanaglia, fino quasi a soffocarlo, il dottor Frederick Treves, in bilico tra la consapevolezza di fare del bene ad una persona ai margini della società e l’inquietante sensazione di stare utilizzando la deformità di Merrick per far carriera nell’ambito scientifico. Il vero punto focale del film, tuttavia, è ovviamente il superamento delle apparenze. A corpi (o involucri come probabilmente li vede Lynch) bellissimi non corrispondono animi altrettanto gradevoli. Nessuno degli uomini e delle donne presenti in questo film, a parte Merrick, ha delle deformità o un aspetto comunque ripugnante. Eppure quasi tutti loro sono personaggi frivoli, disamorati, dediti al vizio e alla prevaricazione. Merrick, rinchiuso in un macilento involucro di carne è invece avvezzo alla poesia, al dialogo, al confronto con gli altri. Memorabile quanto dolorosa è la scena in cui Merrick, impaurito ed in fuga da chi lo deride, si rifugia nei bagni della stazione per sfuggire alla folla che vuole linciarlo e, quando capisce di stare per soccombere urla al mondo il suo “Basta! Io non sono un animale! Io sono un essere umano!” carico di dolore e dignità al tempo stesso. La dignità e la sensibilità che, superando di slancio le apparenze del corpo umano, costituiscono in questo film la vera essenza della bellezza. Una bellezza che non è visibile ad occhio umano, che non è fruibile da tutti. Una bellezza che può essere apprezzata solo da chi ha il cuore nobile come Joseph Merrick.

Domenico Vitale

Elephant Man

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