Il Martirio di sant’Orsola di Caravaggio: un’istantanea drammatica e reale, davanti la Santa il suo carnefice Attila, re degli Unni
Dove è situata l’opera
Palazzo Zevallos (o Palazzo Colonna di Stigliano) si trova in via Toledo, strada che nel corso del XVI secolo aveva rappresentato la “spina dorsale” del piano di rinnovo urbano voluto dal vicerè don Pedro de Toledo, giunto a Napoli nel 1533, e che costituiva il collegamento tra le aree più settentrionali della città e il centro rappresentativo e direzionale, intorno a Castel Nuovo e al porto.
Il Palazzo venne costruito su disegno dell’illustre scultore ed architetto Cosimo Fanzago tra il 1637 e il 1639, per volere del fiammingo Giovanni Zevallos, Uffiziale di Corte e duca di Ostuni che fu, tra l’altro, il primo proprietario. L’edificio si struttura attorno ad un grande cortile interno rettangolare cui si accede varcando la soglia del sontuoso portale settecentesco su cui domina lo stemma dei Zevallos sostenuto da festoni ed affiancato da due giare, mantenutosi inalterato fino ad oggi.
Dopo la morte di Giovanni Zevallos, avvenuta nel 1656, la moglie ed il figlio Francesco dispersero gran parte dei beni ricevuti, tanto da essere costretti a vendere anche il palazzo a Jan Vandeneynden, capostipite del ramo napoletano di una famiglia di mercanti originari di Anversa. La figlia di quest’ultimo sposò il principe di Sonnino, don Giuliano Colonna di Stigliano, cui la proprietà passò definitivamente nel 1688.
Tra il 1919 e il 1920 la Banca Commerciale Italiana acquistò l’intero edificio, affidandone la ristrutturazione all’architetto Luigi Platania che creò la monumentale scala in marmo mantenendo sulla volta gli affreschi ottocenteschi di G. Cammarano con l’Apoteosi di Saffo. Nel 2001 Banca Intesa, ora Intesa Sanpaolo, ha ereditato il palazzo, assicurando la continuità della funzione operativa istituzionale assieme alla possibilità di offrire al pubblico il godimento dei tesori d’arte contenuti, tra questi l’ultima opera di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, il Martirio di sant’Orsola.
Il Martirio di sant’Orsola
Il Martirio di sant’Orsola (1610, olio su tela, 143×180 cm) rimane l’ultima straordinaria opera dell’artista lombardo, poche settimane prima di morire. Il dipinto fu eseguito da Caravaggio con grande velocità poiché, in quel tempo, si stava preparando a lasciare Napoli per ricevere da papa Paolo V una revoca di condanna a morte che ancora pendeva sulla sua testa: tuttavia proprio il viaggio per raggiungere Porto Ercole e di lì Roma gli fu fatale.
Fu commissionato dal principe genovese Marcantonio Doria, figlio del doge Agostino, a cui si deve anche la scelta del soggetto. Il committente, infatti, aveva sposato Isabella della Tolfa, vedova del principe di Salerno Agostino Grimaldi. La figlia di Isabella e di Agostino, Anna, nel momento in cui era entrata nel monastero napoletano di Sant’Andrea delle Dame aveva assunto il nome religioso di Suor Orsola.
L’affetto per la figliastra è il motivo della devozione di Marcantonio per sant’Orsola. La leggenda vuole che al ritorno da Roma, dove si erano recate in pellegrinaggio presso papa Ciriaco, Orsola e le undicimila vergini sue compagne, si trovarono coinvolte nell’assedio che gli Unni avevano stretto intorno alla città di Colonia. Le vergini furono tutte martirizzate per aver voluto serbare intatta la loro fede e la loro purezza. Orsola, invece, ambita in sposa dal re unno Attila, fu in un primo momento risparmiata ma, essendosi rifiutata alle nozze, fu uccisa da una freccia dello stesso re.
Naturalmente Caravaggio si discosta dalla solita iconografia che vede la santa ritratta con i simboli del martirio in compagnia delle sue compagne. Per la prima volta, parafrasando lo storico dell’arte Giorgio Bonsanti, il pittore, proprio nel suo ultimo dipinto, non ci mostra un’azione nel momento in cui essa si compie, ma piuttosto i suoi effetti.
Un drappeggio sullo sfondo ci indica che la scena è ambientata nella tenda di Attila e il tutto è permeato da giochi di luci ed ombre, caratteristica tipica della pittura caravaggesca. Il primo personaggio sulla sinistra è, dunque, Attila, raffigurato con abiti seicenteschi e con un volto contratto da una smorfia, ha appena scagliato la freccia e sembra quasi pentirsi del gesto appena compiuto. Avanti a lui c’è Orsola che, piegando la testa, osserva il dardo conficcato nel seno, il sangue che scorre.
Non sembra provare dolore, ma le sue mani e il suo volto bianchissimo, in contrasto con il rosso acceso della tunica che la avvolge, ci annunciano la sua immediata morte. L’esigenza di mettere i protagonisti uno di fronte all’altra e di dare a ciascuno un fisico e concreto risalto ha costretto il pittore ad avvicinarli. Alle spalle di Attila e sant’Orsola sono presenti tre barbari, uno dei quali sembra essere un autoritratto dello stesso Caravaggio, che cercano di sorreggere la santa.
L’attribuzione a Caravaggio
Ferdinando Bologna, professore di storia dell’arte medievale e moderna e collaboratore di Roberto Longhi, attribuì l’opera al Caravaggio: aveva visto il Martirio di sant’Orsola nel 1955 nella tenuta dei baroni Romano- Avezzano ad Eboli, appartenuta precedentemente alla famiglia Doria, principi di Angri e duchi di Eboli. Inoltre il ritrovamento di una lettera accertò la sua attribuzione. Si trattava di una lettera, ritrovata nell’archivio Doria D’Angri, fu scritta nel 1610 da Lanfranco Massa, genovese e procuratore della famiglia Doria a Napoli e indirizzata a Marcantonio Doria: “Pensavo di mandarle il quadro di Sant’ Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti”.
Nel 1972 il Martirio di sant’Orsola fu acquistato dalla Banca Commerciale italiana ed oggi è in mostra nella galleria di Palazzo Zevallos Stigliano sede di Banca Intesa.
Anna Cuomo