Il problema della lingua italiana aveva tra le sue cause la mancanza di unità politica. Dopo secoli di discussioni, fu Manzoni a trovare la soluzione.
Quando Manzoni, nei primi anni venti dell’800, si accinse alla scrittura de I promessi sposi si trovò di fronte all’ostacolo dell’assenza di una lingua nazionale. Il genere del romanzo aveva però bisogno di una lingua forte, per questo Manzoni avrebbe dedicato tutto il resto della sua vita alla ricerca di una soluzione.
Già dal XVI secolo il problema della lingua italiana era stato posto senza però che si riuscisse a trovare una soluzione definitiva. La causa principale era la mancata unificazione politica che in altri paesi europei – come la Francia – aveva favorito il fissarsi di una lingua nazionale.
Manzoni e il fiorentino dell’uso
Dopo il fallimento linguistico della prima edizione del romanzo, il Fermo e Lucia (1827) che lo stesso Manzoni definì un «composto indigesto», l’autore decise di adottare come canone il fiorentino dell’uso.
Circondatosi di colti personaggi fiorentini, Manzoni iniziò il lavoro che avrebbe portato alla quarantana, l’edizione definitiva del romanzo. Fu un lavoro febbrile ed ossessivo, nel quale Manzoni utilizzò tutti i dizionari disponibili per trovare le soluzioni migliori.
La commissione sulla questione della lingua
Anche dopo il 1840 (anno dell’edizione definitiva del romanzo, la cosiddetta quarantana), Manzoni continuò a riflettere sul problema. Se alla fine rinnegò il genere del romanzo storico, perché non adatto alla sua idea di arte come specchio del reale (motivo per cui non scrisse più), non prese però le distanze dalla lingua che aveva creato. Intanto, con l’unificazione italiana (1861), quello della lingua non era più solo un problema artistico. La neonata nazione non disponeva infatti di una lingua nazionale esattamente codificata.
Manzoni accettò, anche se con riluttanza, di partecipare ai lavori della commissione parlamentare istituita dal ministro dell’Istruzione Emilio Broglio. Manzoni, a capo della commissione di Milano, fu avversato da quella di Firenze (nonostante il suo fiorentinismo spinto). Una delle accuse era quella di voler soffocare i dialetti, quando invece egli ne apprezzava la naturalità. Infatti non rinnegò mai il milanese, non a caso una parte notevole delle sue opere erano scritte proprio in dialetto milanese.
La polemica tra Manzoni e Graziadio Isaia Ascoli
Secondo Manzoni, l’unica soluzione possibile era far coincidere l’italiano col fiorentino dell’uso. Esattamente come era successo per il francese con il parigino, e per il latino con Roma. Per questo entrò in conflitto con il noto linguista Isaia Ascoli che guardava al problema della lingua soprattutto dal punto di vista culturale.
Contestava quindi a Manzoni il parallelismo tra Parigi e Firenze, sia perché quest’ultima non era una vera capitale sia perché il suo livello culturale non era paragonabile a quello di una grande città europea (a Firenze c’era un alto tasso di analfabetismo). Per questo Ascoli preferiva guardare al modello tedesco, che aveva prodotto una lingua nazionale anche senza unità politica.
La vittoria del fiorentino
L’obiezione di Ascoli – che a differenza di Manzoni era un professionista – appariva scientificamente più matura. Manzoni però aveva capito che il fiorentino aveva degli elementi che ne facilitavano la diffusione; non a caso il toscano era già diventata la lingua comune per lo scritto, non si trattava d’altro che estendere il processo anche al parlato.
Si poteva prescindere dalla cultura perché la lingua della cultura c’era già: il problema era quello della comunicazione. Ascoli non riusciva a cogliere questo aspetto perché dava troppa importanza al legame tra lingua e cultura, e perché aveva una visione atomistica della lingua che si concentrava sulle parole.
Manzoni invece guardava alla lingua come ad una struttura, non ad una sequenza di funzioni. Con l’adozione di un punto di vista sincronico, egli anticipò la scoperta della linguistica avvenuta nel XX secolo. Tutto ciò è il motivo per cui non esiste un vero italiano, la nostra lingua non è altro che un dialetto italianizzato. Per questo dalla parlata di ciascuno si può intuire la regione di provenienza, mentre negli altri paesi europei non è così facile.
Ettore Barra